La gazza ladra

Quando nel 1817 il pubblico scaligero ascoltò per la prima volta La gazza ladra di Gioacchino Rossini, fu travolto dal furore di quella musica così vivace e deflagrante. L'impeto dell'ouverture, introdotta da un rullo di tamburo che diventa poi leitmotiv e squarcia subito l'aria, aveva tutto l'incanto di una ventata di novità e di una riconciliazione. Come scrisse Stendhal, una precedente opera rossiniana come Il turco in Italia era stata fischiata alla prima anche per una presunta scarsa originalità (ingiustamente, a dire il vero), in riferimento alla tecnica dell'autoimprestito, spesso usata dal compositore pesarese, e le prime battute della sinfonia iniziale de La gazza ladra furono sufficienti per un rinnovato e fulgido entusiasmo. L'omonimo film di Robert Guédiguian muove invece da uno spirito dissimile, persino inverso. Ritroviamo infatti la sua Marsiglia, l'abituale nucleo di attori ormai collaudato (tra cui spicca Ariane Ascaride) e i temi che negli anni, film dopo film, hanno composto un cinema basato anche sulle reiterazioni, sugli echi (e ritorniamo alla pratica rossiniana dell'autoimprestito), come in un flusso raccolto, intimo, familiare. Guédiguian mette qui in scena un diverso rullo di tamburi, quello delle vite comuni, delle battaglie minute, dell'amore che unisce e resiste, in un mondo dove tutto sembra volerlo disperdere.
Il riferimento all'opera di Rossini tuttavia non è estrinseco, e non si esaurisce nel titolo (La pie voleuse in originale, che è anche il titolo del dramma francese da cui fu tratto il libretto di Giovanni Gherardini) e nell'uso dell'ouverture. La gazza ladra di Guédiguian (come spesso accade nel suo cinema) sembra piuttosto rievocare il carattere semiserio del melodramma rossiniano, quella zona liminale in cui la commedia e il dramma si toccano e si confondono. L'opera di Rossini segnava un punto estremo nell'avvicinamento e nella compenetrazione tra i generi buffo e serio, e il film del regista marsigliese abita quello stesso confine, eludendolo e facendone visione morale e politica. In quest'oscillazione tra toni il suo cinema trova la propria voce, capace di raccontare senza indulgere nel patetico o nel cinismo la realtà sociale, tratteggiando un mondo in cui l'amore e la leggerezza non cancellano la sofferenza, ma la attraversano illuminandola di umanità e lasciando emergere una speranza tenace, ostinata nella sua fragilità.

Anche qui è il tema del furto a innescare e condurre gli eventi, sin dall'incipit, in cui vediamo dei ladri in azione in un negozio di strumenti musicali. Nel fuggire, i delinquenti causano la rottura di una tubatura: l'acqua si riversa sul pavimento, trascinando alcuni documenti che scivolano e galleggiano come blocchi di ghiaccio alla deriva. E alla deriva sembrano, inizialmente, anche i personaggi, ognuno perso nei propri ricordi, nelle difficoltà, nella solitudine. Povera gente, recita la poesia di Victor Hugo citata nel film, alla ricerca di piccole gioie, quelle che sfuggono spesso a chi è rimasto ai margini della società, ma che ancora possono accendere momenti di luce intensa. Tra di essi si muove Maria, una figura che sembra fondere in sé la gazza e Ninetta dell'opera rossiniana, e che "svolazza" tra le stanze e le vite degli altri, amica e confidente più che semplice donna di servizio. «Ella, senza doni della fortuna, colle sue fatiche qui si procaccia una meschina vita, non debb'esser per ciò da noi schernita», canta Fabrizio riferendosi a Ninetta, e sono parole che si adattano perfettamente anche al personaggio di Maria.
I piccoli furti che compie, sottraendo modeste somme agli anziani di cui si prende cura, sono posti in netta antitesi rispetto alla rapina iniziale del film, privo di ogni morale. Maria non agisce né per arricchirsi né con reale dolo, si assicura piuttosto di non arrecare un danno concreto e, soprattutto, compie le proprie rapine per amore del nipote, per garantirgli la possibilità di continuare a studiare il pianoforte. È su questa ambivalenza che il film si sviluppa, affrontando il tema della giustizia e della moralità e mostrando come un crimine possa in termini ossimorici apparire innocente, persino giusto e onesto. Il furto assume così la forma di un atto di resistenza, quasi di rivalsa sociale, rievocando un altro testo fondamentale di Victor Hugo (vero e proprio punto di riferimento del regista francese), I Miserabili.
Rispetto ad altri film di Guédiguian, in cui talvolta si percepisce un senso di costruzione più marcato, La gazza ladra rimane maggiormente sospeso sui volti dei personaggi, che diventano specchio dei loro turbamenti, delle emozioni e delle sensazioni più intime, lasciate affiorare come piccole vibrazioni. È un film che si fa, prima di tutto, racconto del desiderio e dell'amore. È l'amore in ogni sua forma a connettere e risvegliare (da quella deriva iniziale) i personaggi: l'amore per la musica, che attraversa l'intero film, l'amore per il nipote, l'amore custodito nella memoria, quello nuovo, che si manifesta in slanci amorosi operistici, o quello perduto o rimasto impossibile. La musica (non solo Rossini, ma anche Liszt e Satie) non accompagna solamente le immagini ma le abita e ne disegna il movimento, sino a fondersi con esse, come nel secondo incontro tra Laurent e Jennifer, dove le mani di lui accarezzano il viso e i capelli di lei con un tocco che sembra quasi musicale. Lo stesso ritmo del film sembra modellarsi sul crescendo rossiniano, un moto che non è solo dinamico ma anche sottile, un gesto che si arrampica e attorciglia su sé stesso. Così anche il film riprende e varia incontri e situazioni, che si rincorrono e ampliano, mentre legami e personaggi si approfondiscono e l'emozione si fa via via più densa.