1485khz (Se otto ore)
Distribuito dal primo maggio sulla piattaforma streaming Kinema, l'ultimo corto di Pastrello avvicina l'horror per guardare in modo assai originale alla coercizione e alla prevaricazione nel mondo del lavoro.

“Un buco di casa di casèngoli” in una zona sperduta del Friuli Venezia Giulia, e una donna che per sbarcare il lunario e non essere sbattuta “fuori dalla strategy aziendale” - come le dice il capo in chiamata - è costretta a recarvisi per pulirla da cima a fondo. Ma la casa sembra disabitata e abbandonata a sé stessa, gli interruttori staccati dalle pareti, le tapparelle sigillate. Qualcosa non quadra. Le premesse e i movimenti di 1485khz (Se otto ore) non sono poi così diversi da quelli del precedente lavoro di Michele Pastrello, Inmusclâ, che immergeva la protagonista (anche lì la bravissima Lorena Trevisan) in un’atmosfera da realismo magico di cui era impossibile comprendere le coordinate e permeata da una vibrante energia negativa che suggeriva un bisogno di fuga. Se vogliamo, ci troviamo nel suo rovescio: al bianco abbacinante dello scenario tra le montagne immersivo e senza confine, si sostituisce ora la dimensione ottundente e claustrofobica di uno spazio che ha tuttavia ancora le fattezze dell’incubo. Uno scenario, inteso pure come spazio fisico, che a Pastrello viene assai congeniale, con le sue curvature oniriche e orrorifiche (dove queste ora sono più pronunciate) e un sottobosco di anime tratte da un qualche culto misterico. Ma cosa dice ora questo scenario? Qual è l’orizzonte di ricerca entro cui si esprimono le immagini, vestite dell’horror e della metafora (modalità sintattica ed espressiva anch’essa nota del cinema di Pastrello)? Ecco, non più quello del trauma e del suo superamento, quindi di una ricerca interiore che plasma lo spazio, bensì un orizzonte sociale e politico, dunque (e anche qui il rovescio) esteriore, nel senso etimologico di exterior, “ciò che è fuori”.

Conducendo le pulizie nello scenario tetro della casa, la protagonista finisce col trovare causalmente un libro che tratta della metafonia di Jürgenson, metodo per una transcomunicazione, mediante radio o strumenti di registrazione, di tipo spirituale, in grado di catturare voci dall’aldilà. Per questa ragione la componente sonora si definisce qui, molto più che come sfondo, come “movimento” costante, superficie ruvida continuamente graffiata da note spettrali e bagnata da una pioggia che pare remota, e increspata delle onde di un antico canto popolare, Se otto ore vi sembran poche, che le mondine delle risaie nel nord dell’Italia intonavano per protestare e rivendicare il tetto massimo lavorativo di otto ore, in pieno biennio rosso. È la Storia che chiama, in cuffia o come eco lontana e gracchiante, ed è una Storia che produce gli stessi mali ed errori di sempre. Pastrello ce lo dice benissimo con un’immagine fotografica volta a riprodurre proprio il lavoro delle mondine nelle risaie durante gli anni venti, in cui accanto al volto del padrone (Emiliano Grisostolo), tetragono e in impostata sicumera, ci sono i corpi delle donne piegati sul peso della propria schiena a lavoro, e il cui volto è invece cancellato. A chi appartiene quel volto? Non è importante, perché l’identità in fondo nulla può aggiungere in termini produttivi, utilitaristici. Così il volto può e diventerà presto quello della protagonista, come quello della moldava anch’ella senza nome che l’ha preceduta, fagocitata dall’oscura frequenza su cui le logiche oscure di sopraffazione del potere sono sintonizzate.

Il “non deludermi” del capo-padrone, reiterato e riprodotto nel formato audio di un vocale su Whatsapp, diventerà, nel soffio vitale che spira dalla bocca della donna, alla fine senza vita (o più correttamente, senza coscienza), la pronuncia di un “non ti deluderò”. Pastrello riflette qui sul concetto di Falsa Coscienza elaborato da Marx ed Engels, per cui l’aderenza delle masse alle direzioni del potere non può risolversi come sola passiva acquiescenza, ma come concordanza di idee, come compiuta partecipazione a quelle che Marx definisce “idee spirituali dominanti”. Il modo con cui il posizionamento politico scelto da Pastrello coglie pienamente l’urgenza di certe istanze, la scrittura per immagini che riempie la maglia dell’horror con un denso afflato filosofico - chiaro frutto dell’attenta ricerca dell’autore - e l’abilità silente (del resto, Lorena Trevisan ancora una volta tace e parla col corpo) di un fare artigianale che non sente la costrizione della misura breve (1485khz dura solo 20 minuti) e dell’autoproduzione, in una riduzione all’osso che però sa ancora coagulare ciò che sta a cuore allo sguardo dell’autore, ecco, tutto questo, è traccia manifesta di un’idea di cinema limpidissima e organica, e nondimeno libera, “giusta”, di cui sicuramente avremmo più bisogno, e di cui dovremmo accorgerci di più.