Il film di Barry Jenkins intreccia tematiche gender e black per colmare un vuoto d’immagine e dare luce ad un racconto di intima potenza sulla ricerca dell’identità.
Arrivata a metà stagione, la serie HBO ha ormai svelato la sua vera natura, ponendo al centro della narrazione il tema del labirinto nella sua accezione più rivoluzionaria e virale.
Tra grottesco e denuncia politica, Berman mette in scena un attacco frontale nei confronti di un Israele vittima di politiche conservative e militariste.
Berg firma un film conservatore lucidamente celebrativo, poco incline all’approfondimento e all’analisi razionale ma capace di restituire con efficacia l’eroismo di personaggi comuni.
Il film di Parker vorrebbe essere un gesto politico atto a riscrivere la rappresentazione mitica del proprio paese, ma manca del respiro e della forza necessari ad appropriarsi di un immaginario.
Il film più violento e decostruito della cinematografia di Yang, un’opera che rappresenta assieme al precedente "Taipei Story" un brillante e prezioso dittico dedicato alla metropoli.
La premiere HBO sorprende per densità di argomenti e consapevolezza dei temi messi in campo, tra i quali spicca la narrazione digitale del mondo videoludico.
Tassello fondamentale del Nuovo Cinema Taiwanese, il secondo film di Edward Yang guarda al cinema di Antonioni per portare avanti una dolente riflessione sulla metropoli contemporanea.
Una fedele e inutile riproposizione del franchise, un omaggio portato avanti con uguale povertà di idee e incapacità di accedere alla dimensione dell’autenticamente disturbante.
Nonostante lo script di Pizzolatto dissemini qualche spunto d’interesse, il remake di Fuqua si rivela un western classico senza particolari intuizioni, tanto godibile quanto biodegradabile.