Scorsese firma con l'inchiostro digitale di Netflix il suo film-testamento e l’ultimo grande film del Novecento, incongruenza tardiva che stride con la cronologia e le logiche del contemporaneo e che eppur (r)esiste.
Come fosse un sacerdote laico, Bruce Springsteen dà vita ad una liturgia che ci immerge in un passato in grado di frammentare il tempo e abbracciare i suoi fantasmi.
Interamente costruito sul volto di Renée Zellweger, Judy si afferma come un veicolo da Oscar per l'attrice americana e sceglie la via della semplificazione più tradizionale.
Abbandonando l'horror a favore del dramma famigliare, Trey Edward Shults firma un film pienamente figlio del suo tempo e del rapporto tra le nuove generazioni e le loro immagini.
Shia LaBeouf si confronta con i fantasmi della propria infanzia in un film fortemente autobiografico, arroccato sull’estetica indie più convenzionale e preconfezionata ma comunque sincero, vitale, emozionante.
Racconto tragico e disturbante basato su una reale storia famigliare di plurimi abusi, l'opera di Sasha Neulinger affida all'immagine filmica il compito di portavoce definitivo della verità.
Makoto Shinkai torna sui passi del fanta-romance che gli è più caratteristico, con un dettaglio visivo sorprendente ma una narrazione che alterna momenti di intuizione ad altri a rischio “cliché”.
Il secondo progetto da regista di Edward Norton è un film schizofrenico che si affida alla musicalità delle parole ma si limita a un lavoro di pulizia maniacale che ne annienta ogni volontà sovversiva.