Quello di Rubini è un cinema grottesco da camera che vorrebbe mettere alla berlina i suoi personaggi ma di fatto si nutre dei loro eccessi per coprire la superficialità borghese che lo anima.
Non un film sullo spazio e la fuga da esso, ma una catena di occasioni sprecate, il cui limite più grave è non affidarsi mai al potere dell'immagine per raccontare la libertà dei suoi personaggi.
Affossato da un’imbarazzante superficialità di sguardo e intenti, il nuovo film tratto da un romanzo di Gillian Flynn è un finto noir senz'anima che naufraga nel procedural televisivo.
Del Toro cerca di unire gioco cinefilo e melodramma ma l'operazione non riesce, se non come esperienza visiva e racconto di certe pulsioni ottocentesche.
Si va dalle cronache di Bradbury alla razionalità di Asimov, ma in definitiva The Martian è un pamphlet sull'ottimismo e l'intraprendenza dell'uomo, rovesciamento del dramma in commedia slapstick.
Tra Mann e la Bigelow Sicario è un film estremamente prezioso e potente, operazione astratta e politica sul genere che conferma lo spessore raggiunto oggi dal cinema di Denis Villeneuve.
L'esordio di Denis Villeneuve è una storia d'amore che gioca con l'assurdo, trae linfa vitale dalla Nouvelle vague e getta le basi del futuro cinema del regista canadese.
Lo sciatto e svogliato film di Alfredson è un esempio lampante di come non basti un buon cast e un ottimo soggetto per fare cinema di genere che abbia un valore. Serve stile.