Creed II

di Steven Caple Jr.

Stallone saluta e Creed entra nel Mito: l'epica infinita di Rocky Balboa si riallaccia al passato e rilancia ancora la saga.

Creed II - Recensione film Caple Jr

A riguardarsi indietro, con Creed II c'erano tutte le carte in regola perché una nuova grande saga finisse abortita al secondo episodio. Il defilarsi repentino di Ryan Coogler, padre spirituale del franchise, aveva fatto pensare al peggio. Soprattutto, convincevano poco i sostituti designati, chiamati alla sempre delicatissima operazione di espandere un prototipo autoconclusivo. Il semi-sconosciuto Steven Caple Jr. pareva chiamato solamente per fare da surrogato a Coogler (altro giovane afroamericano del circuito indie in attesa di grandi chance). E anche Sylvester Stallone, che dopo aver accarezzato l'idea di appropriarsi registicamente del film si era auto-declassato a sceneggiatore di lusso, era visto con sospetto. Il primo Creed era stato un film molto personale, incentrato sulla creazione metodica di un nuovo eroe. Tornare ad affidare la macchina al leggendario ego di Stallone era sembrato un passo indietro più che uno in avanti. Ed era tutta da valutare la capacità di Sly di improvvisarsi sceneggiatore su commissione.

Ogni legittimo dubbio alla base del progetto Creed II è stato spazzato via alla prima proiezione stampa. Proprio ciò che preoccupava maggiormente si è rivelato un punto di forza: il film è diretto magistralmente (nella cura interna dei combattimenti forse addirittura meglio del primo), ma sopratutto è scritto magistralmente. Rispetto al primo film, manca solo quella sensazione di freschezza che il lavoro del 2015 portava con sé: quella di un prodotto a modo suo interamente originale, che prendeva le sembianze di film di Rocky solamente in divenire, sorprendendoci con un percorso dell'eroe apparentemente lontano dai canoni. Creed II, invece, questa dimensione di film di Rocky la abbraccia e la fa sua dalla prima all'ultima scena. Ed è Stallone in persona ad occuparsi di di porre definitivamente il film sul glorioso tracciato della serie, consegnando una volta per tutte a Michael B. Jordan l'eredità del suo personaggio. Creed II chiude il cerchio, riconduce la seconda saga in seno alla prima, ne genera forse una terza e permette ai nuovi personaggi di confrontarsi apertamente con quelli classici che li hanno generati.

Creed II è un'esercizio di classicismo da scuole di cinema. A partire dal macro-spunto di partenza (Ivan Drago e il figlio Viktor emergono dalle nebbie rosse di una depressissima Est Europa per reclamare trent'anni dopo la rivincita al clan Creed-Balboa), Stallone e Caple Jr. si servono della mitologia e del passato della serie in maniera attiva, non necrofila o postmoderna, utilizzando schemi narrativi e immagini iconiche come punti di partenza verso il nuovo. Creed II è Rocky III (nella struttura), Rocky IV (nei rimandi), Rocky I (nell'etica): in una cosmogonia della lotta che ormai ha più del Mito junghiano che non del Cinema, tutto è eterno e presente, antico e perfettamente contemporaneo. Ed è straordinario il lavoro sul personaggio-Rocky come conciliatore di queste due anime. Protagonista non dichiarato del primo film (nel quale Sly travolgeva completamente un acerbo Jordan), in Creed II Rocky è ancora centralissimo, ma solo per la prima volta davvero “spalla”. La ribalta viene lasciata a Donnie, alla sua famiglia (la nuova Adriana Thessa Thompson è ancora una volta di un carisma abbagliante), a una terribile responsabilità genitoriale, al passato dei Creed e al loro futuro. E' qui che Rocky, finalmente, ci saluta, lasciando al suo erede il compito di scrivere davvero la propria storia (build your own legacy).

Un capitolo a parte merita poi l'intuizione più forte e indimenticabile di Creed II: i Drago. In un lavoro di recupero di incredibile complessità, i due pugili russo-ucraini diventano personaggi da tragedia, portatori dei conflitti emotivi più forti. Basti pensare a come Ivan, nel film del 1985, fosse poco più che un coloratissimo cartoon in carne ed ossa: lo strappo con cui lo ritroviamo improvvisamente “vero”, grigio, invecchiato e interpretato da un Dolph Lundgren da dieci Oscar, è grande cinema. A lui e al non professionista Florian Monteanu basterebbero giusto un paio di scene in più per conquistare il favore del pubblico e ritrovarsi paradossalmente eroi del film (come accadeva a Rocky, di fronte all'intelligencija sovietica, nel mitico incontro di Mosca dell'85). Stallone ne è consapevole, e tiene i due defilati, lasciandone lo sviluppo a pochi, indimenticabili dettagli (una spugna, un abbraccio, una corsa di riscaldamento finale). In Creed II, la maschera di “Rocky” intesa come archetipo passa ancora di mano: e sarebbe bello se, chiuso il cerchio di Adonis e dei Creed, si aprisse quello di Viktor e dei Drago. Una nuova saga, per ripartire ancora, e allargare un universo espanso potenzialmente infinito. Perché anche se Sly saluta, i film di Rocky non finiranno mai.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 19/02/2019

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