Peppermint Candy
Il secondo film di Lee Chang-dong è un viaggio a ritroso nell’anima di un uomo e di una nazione, entrambi portano ancora sulla loro pelle le tracce di un passato traumatico.
Primavera 1999. Un uomo dall’aria persa e affranta si unisce a una rimpatriata di vecchi compagni di scuola. Ecco Yong Ho, nessuno sembra riconoscerlo, sono passati vent’anni e gli amici del liceo ne avevano perso le tracce. «Cosa farò ora che mi hai lasciato? Come vivrò senza di te? Come potrò andare avanti sapendo che mi hai dimenticato? Non può finire così… Ti prego, non andare via! Avevi un segreto?» canta a squarciagola l’uomo prima di dare in escandescenza, salire sul ponte della ferrovia e farsi travolgere da un treno. «Voglio tornare indietro!» sono le sue ultime parole.
Peppermint Candy di Lee Chang-dong ripercorre a ritroso la vita del protagonista svelando i segreti e i traumi che hanno portato l’uomo a compiere il gesto disperato. I flashback delineano episodi chiave nel trascorso di Yong Ho. Nello stesso anno, 1999, dopo aver divorziato e perso la figlia, affidata alla moglie, l’uomo riceve la visita inaspettata del marito di Sun Im, il suo primo amore di gioventù, che non lo ha dimenticato in punto di morte e chiede di rivederlo. Il racconto prosegue a ritroso, mostrando il fallimento del matrimonio di Yong Ho, così come della sua società commerciale. Il treno retrocede, il nastro si riavvolge mostrandoci la giovinezza passata in polizia e prima ancora nell’esercito. Il cerchio si chiude nel finale. È il 1979 e assistiamo a un incontro tra studenti in riva al fiume Han, nello stesso luogo in cui il protagonista compirà, vent’anni dopo, il gesto disperato visto in apertura. Qui Yong Ho incontra per la prima volta Sun Im, la quale gli regala una caramella alla menta, proveniente dalla fabbrica di dolciumi in cui lavora. I due sembrano già essere complici e parlano dei propri desideri, così come delle proprie preoccupazioni, sperando di poter passare il resto della vita insieme.
Come nel film precedente Green Fish (Chorok Mulgogi, 1997), anche in Peppermint Candy (Bakha Satang, 1999) i personaggi sono costretti a confrontarsi con il proprio passato. Due figure di reduci come quelle di Mak-Dong, protagonista del titolo precedente, e Yong Ho portano ancora sulla pelle e nel proprio inconscio, non totalmente assimiliate, le tracce di un passato traumatico. Se il primo dopo essere tornato dall’esercito entra in una banda criminale, il secondo si arruolerà in polizia, cercando un ambiente istituzionalizzato che possa legittimare il crimine di cui si è macchiato. Il viaggio a ritroso compiuto dal film mostra infatti il trauma primario che sembra aver cambiato definitivamente la vita di Yong Ho, condizionandone le azioni future. Nel 1980 a Gwuanju, le forze armate sedarono brutalmente una protesta studentesca contro la dittatura di Chun Doo-hwan, una pagina nerissima su cui si concentrano altri due titoli recenti come A Taxi Driver (Taeksi woonjunsa, 2017) e 1987 – When The Day Comes (1987, 2017). In quell’occasione l’uomo uccide, inavvertitamente, una giovane studentessa, confusa in un primo momento con la sua amata. Un destino nefasto che sembra venir predetto nel momento in cui, poco prima di unirsi ai propri compagni per la missione, a Yong Ho vengono fatte cadere tutte le caramelle alla menta regalategli da Sun Im. L’uccisione della giovane, come detto in precedenza, momento a cui lo spettatore giungerà quasi in conclusione, risulta essere qualcosa di represso o non risolto che continua a esercitare una forte influenza sul presente dell’uomo. Un momento che segna la perdita dell’innocenza, come avviene in Poetry (Shi, 2010) nel momento in cui l’anziana protagonista, secondo cui la poesia può essere creata solo a partire dalla pura bellezza, dovrà affrontare la cruda realtà che coinvolge il nipote, cambiando inevitabilmente prospettiva.
L’uccisione della giovane segna anche la fine di un possibile amore idilliaco, portando alle umiliazioni di Yong Ho nei confronti della donna, fino all’inevitabile rottura del rapporto. Il trauma represso resiste e persiste nelle ripetizioni del tempo presente attraverso un comportamento brutale e auto-distruttivo che segna l’animo dell’uomo. Ad ogni tappa della propria esistenza riemerge un vecchio dolore che amplifica l’odio che l’uomo prova per sé stesso, dalle torture compiute in polizia al tradimento della moglie. La dimensione singolare risulta essere specchio di quella di un paese che faticosamente sta cercando di farsi strada e di crescere rischiando però di produrre delle figure fantasmatiche stanche e insoddisfatte, pronte a far esplodere le proprie (com)pulsioni e ossessioni, come avviene d’altronde anche in Burning. In Peppermint Candy il trauma individuale diventa un trauma storico e culturale, mostrando una nazione che passa dalla dittatura militare alla democrazia e al sistema capitalistico, risoluta verso un ideale di progresso ma rifiutando alcun tipo di revisione critica del proprio passato. Il percorso di elaborazione del trauma inizia nel momento in cui l’uomo decide di rompere l’integrità del processo storiografico lineare per intraprendere un viaggio nel passato e nella propria coscienza, con il fine di ritrovare e rivivere il primo e unico amore, riassaporare il sapore delle caramelle che gli regalava Sun Im, ricongiungersi con un oggetto perduto.