Pinocchio

di Guillermo del Toro

Guillermo del Toro rivisita il classico di Collodi ribaltandone totalmente la morale e ripensando il racconto, dando risalto con la stop-motion alla dimensione artigianale e plastica del proprio cinema.

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Nel definire l'esistenza e la natura umana, Thomas Hobbes nel De Cive fece ricorso alla celebre espressione Homo homini lupus (l'uomo è un lupo per l'uomo). Un concetto che trova radici ben più antiche, arrivando sino al Plauto dell'Asinaria, e che il filosofo inglese impiega per riassumere l'indole egoista dell'uomo, soggiogato dall'istinto di sopravvivenza e di sopraffazione (divergendo quindi dalla visione aristotelica dell'uomo come animale sociale). Il pensiero di Hobbes riaffiora spesso anche nel cinema di Guillermo del Toro, non solo perché nel suo primo film statunitense (Mimic, 1997) viene citato direttamente, con il riferimento alla frase sulla natura «sporca, breve e brutale» della vita, ma soprattutto perché l'impianto affabulatorio e ludico che anima il percorso cinematografico del regista messicano si intreccia, sovrapponendosi, alla discesa in un mondo sotterraneo fatto di spettri e ombre. Attraverso di essa, del Toro mostra l'egoismo e l'efferatezza di un'umanità sempre pronta a divorare sé stessa in nome del potere e della sopraffazione, in opposizione a una riflessione su ciò che solo all'apparenza è mostruoso e "diverso". La catabasi negli abissi della ferocia umana viene rimarcata dal periodo storico che spesso fa da sfondo (o che diviene protagonista) a molti dei suoi film. L'epoca dei fascismi e dei totalitarismi, una delle massime espressioni della crudeltà e del dominio dell'uomo sull'uomo. Bellum omnium contra omnes.

Se Nightmare Alley è il film più nero e più hobbesiano di del Toro, privo di qualsiasi spiraglio positivo e di speranza, con Pinocchio ritorna il racconto di un personaggio che attraverso le proprie scelte e il proprio essere all'apparenza diverso (come accedeva in Hellboy e La forma dell'acqua, ma non solo) finisce con l'opporsi genuinamente alle pulsioni brutali che covano nell'animo umano, mostrando che una reazione è possibile. Inseguito a lungo (il progetto è stato annunciato nel 2008) e frutto di un lavoro di molti anni, anche per via del ricorso alla tecnica della stop-motion, il Pinocchio di Guillermo del Toro appare sin dai primi minuti come una delle trasposizioni più libere e meno fedeli del racconto di Collodi. Il regista messicano attinge dall'opera originale solo alcune delle linee narrative e dei personaggi principali (elementi divenuti ormai universali) per ripensare il racconto e la sua morale sotto nuove forme, totalmente contestualizzate all'interno del suo orizzonte cinematografico (un'appartenenza rivendicata sin dal titolo, Guillermo del Toro's Pinocchio). Ecco quindi che l'ambientazione diventa quella dell'Italia del ventennio fascista, tra gli orrori di una guerra che ha causato la morte del figlio di Geppetto, Carlo, e il potere esercitato dal potestà. La creazione di Pinocchio avviene qui un gesto disperato ed estemporaneo, frutto di un dolore inestinguibile e di una mente annebbiata dall'alcol. Un evento che viene associato, quasi sospinto, al contatto con un mondo magico e invisibile, spiriti a metà tra l'immaginario di Miyazaki e l'apparizione luminescente degli elfi tolkeniani.

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Il rapporto tra figli e genitori, che attraversa, in modi e con rilevanze diverse, l'intera filmografia di del Toro, trova in Pinocchio un'assoluta centralità. È proprio sotto questo aspetto, principalmente, che la morale del racconto di Collodi viene sovvertita, presentando una figura paterna fragile, imperfetta e preda di insicurezze, al punto che il percorso di consapevolezza compiuto da Pinocchio nell'originale in questo caso riguarda invece Geppetto. Che aggrappato al dolore e al passato, guardando il burattino, si aspettava di ritrovare Carlo, di resuscitare i propri ricordi e di riappropriarsi di una vita ormai perduta, incapace inizialmente di amare Pinocchio per quello che è. Ma Pinocchio non è Carlo, non vuole esserlo e afferma la propria identità attraverso l'animo fanciullesco e scoprendo le virtù della disobbedienza, in un mondo in cui obbedire ciecamente porta al conformismo, predisponendo e rinvigorendo il fascismo (campeggia più di una volta l'imperativo fascista credere, obbedire, combattere). È quindi attraverso la disobbedienza e le scelte compiute che viene raggiunta l'umanità, riallineandosi con quanto veniva detto in Hellboy («ciò che rende uomo un uomo sono le scelte che fa»). Lucignolo disobbedisce al padre potestà, Spazzatura disobbedisce al malvagio Conte Volpe e Pinocchio sceglie di non essere come Carlo e di non obbedire senza riserve a quello che gli viene ordinato. Sceglie persino di rinunciare alla possibilità di avere vite eterne, quando, in alcuni dei momenti più affascinanti del film, si ritrova in un aldilà popolato da conigli impegnati in partite a carte (rievocando i dipinti dei cani che giocano a poker di Cassius Marcellus Coolidge) e da una figura mitologica a guardia del tempo e della morte. La scelta più importante che compie Pinocchio è perciò quella di rinunciare all'immortalità pur di salvare il padre, comprendendo che ciò che rende preziosa e significativa la vita umana è il fatto che sia breve (di nuovo la riflessione sulla brevità della vita) e che una vita immortale comporta una sofferenza senza fine.

A fronte di una narrazione che cede piuttosto facilmente al didascalismo e di numeri musicali e canzoni non proprio memorabili, la realizzazione in stop-motion racchiude ed esalta tutto il lato fiabesco e dark della poetica di del Toro (coadiuvato nella realizzazione da Mark Gustafson). Pur essendo il suo esordio da regista per quanto concerne il genere, con Pinocchio dona massima espressione al lato artigianale che ha spesso animato il suo cinema, acuendo ed esplorando con maggior intensità il rapporto tra lo spazio raffigurato e i personaggi, che qui ne diventano quasi emanazione, con un senso plastico accresciuto dalla tecnica utilizzata. La stop-motion assume persino un valore "sineddotico", nel modo in cui la storia di Pinocchio viene raffigurata tramite pupazzi (dall'aspetto lingeo) mossi proprio come delle marionette. In questo scenario Pinocchio ha un aspetto grezzo, poiché prende vita prima che Geppetto abbia terminato il lavoro, e in un primo momento spaventa tanto il padre (apparendogli con movenze da ragno) quanto i compaesani, che lo credono un demone. Il suo percorso di affrancamento dall'obbedienza e dalle regole richieste dal fascismo passa quindi anche attraverso la forma e il suo essere non finito, libero e diverso dalle marionette dal braccio destro alzato.

Autore: Andrea Vassalle
Pubblicato il 30/01/2023

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