Tetsuo

di Shin'ya Tsukamoto

Sulla scomparsa del corpo: a passo uno dopo la fine del mondo.

Tetsuo

Cosa si può scrivere ancora di Tetsuo dopo la pletora di materiale che gli è stato dedicato? Libri, saggi, omaggi, seguiti e rifacimenti, tesi di laurea, esegesi e interviste infinite. L’esordio alla regia di Shin'ya Tsukamoto (anche se prima c’era già stato L’avventura del ragazzo del palo elettrico che ne era una grottesca, irriverente anticipazione estetico-tematica) è il cult-movie per eccellenza in un’epoca cinematografica dove fermentava la nuova carne cronenberghiana e cominciavano le terribili assimilazioni dei borg. I fedeli del cyberpunk, quelli cresciuti ad Akira e metallo, avevano superficialmente identificato Tetsuo in un manifesto identitario, quello dell’Iron Man. Eppure il furore di Shin'ya Tsukamoto non si fermava all’ibridazione uomo-macchina, non era interessato tanto alla nuova creatura a-venire quanto alla malinconia della trasformazione stessa e alla mutazione come atto politico (e questo vale per la sua intera filmografia). Nessun capitolo della trilogia va nella direzione di un nuovo, definitivo corpo, semmai Tsukamoto inscena la scomparsa di quel corpo. Lo (con)fonde, lo possiede e lo distrugge, alla ricerca di un germe sottocutaneo, di uno pneuma spirituale che possa guidare il nuovo mondo.

Sullo sfondo, quasi sempre fuoricampo (per riprendersi la scena nell’apocalittico, straordinario Tetsuo II) c’è Tokyo, interamente ricostruita dalle macerie della guerra (ma è sempre stata la città mutante per eccellenza, ben prima del Novecento). Tokyo è la vera nemesi del protagonista. L’architettura impersonale della metropoli estende le sue possibilità viventi, come un organismo postatomico che getta le proprie scorie sull’individuo. La città è troppo grande per esseri umani troppo piccoli: alla stregua di un mostro cibernetico, è già pronta a fagocitare i suoi abitanti. L’architettura non può fermare il suo moto bulimico e finisce per eccedere i propri spazi, per creare nuove realtà. Germoglia quindi dentro i nostri corpi, insediando la carne, coniando topografie ulteriori e facendo di noi bizzarre creature radioattive, entità urbane di cuore e metallo.

Prima di qualsiasi rete, prima degli hikikomori e delle patologie virtuali, Tsukamoto rinchiude il suo protagonista in casa, negandogli gli esterni, bloccandolo fra le mura domestiche. Il suo è un corpo stanco, spossato dal lavoro quotidiano, sconfitto dalla città, neutro come la massa (ma il corpo debole, affaticato, popola tutti i film di Tsukamoto ed è lo stato larvale di qualsivoglia mutazione).

“(...) l’immagine della città che si restringe e al suo interno gli esseri umani, ormai inscatolati in stanze esigue, che operano solo attraverso i computer. Il cervello va ingigantendosi man mano che il corpo si riduce” diceva Tsukamoto ormai quasi trent’anni fa, lanciando parole che ci sembrano, col senno di poi, manifestazioni di preveggenza. Proprio in questo Tetsuo supera se stesso, trasformandosi in un insospettabile gesto politico: seppure con orrore, l’uomo non respinge il ferro, accogliendolo volontariamente nella sua carne. Accetta il corpo estraneo per poter assestare, a sua volta, un attacco contro la città. “Il messaggio è quindi di speranza: che la città venga distrutta non da guerre o da ordigni meccanici, ma dal corpo degli esseri umani."

tetsuo

Di conseguenza l’urbano si comprime nel domestico: l’abitazione si trasforma in una sorta di grembo materno dove si va a formare un nuovo, insospettabile embrione (in una maniera in fondo non così dissimile dalla stanza uterina dell'Oscurità/Luce/Oscurità di Jan Svankmajer). Al suo interno, due creature – marito e moglie – destinate ad unirsi, combattersi, sfinirsi, amarsi in un coito infinito. Gli orgasmi sono scosse elettriche guidate da una dimensione fallocentrica, dove il trapano può penetrare, letteralmente, l’antica carne. Ma non c’è fantascienza in questa mutazione, Tsukamoto affronta la realtà con un piglio così realista da risultare stordente: il passo uno scaccia ogni equivoco, il cinema denuncia se stesso e i propri trucchi. Quello che si sta raccontando è l’essere umano in tutte le sue trasformazioni (magnifica intuizione, a questo punto, quella reiterata nel leggendario libretto del cofanetto RaroVideo: Tetsuo come cinema neorealista).

Tsukamoto, infatti, non può che immaginare il reale in b/n (come Garrel!), sfilacciato in un film breve e low budget, scandito dal furore irrefrenabile della stop/motion. Per tre quarti di durata, il film si rinchiude in interni, inscenando una crisi di coppia sui generis, un pinku eiga finalmente libero di scatenare tutte le sue iperboli: quasi un film di un Wakamatsu avvolto dal metallo, che riscopre nel sesso il potere della trasmutazione. L’idea dell’unione sessuale diviene un dissolversi nel corpo dell’altro, uno sparire astratto tra liquidi di ferro, a metà strada fra crash ballardiani e piccole morti batailliane. Si potrebbe anche dire che Tetsuo sia un film sul sesso come atto di sparizione. Nel coito perdiamo la nostra identità, ci lasciamo andare completamente, definitivamente all’altro. Coniamo l’altro. Entrare nell’altro, d’altronde, significa scoprirsi altrove, uscire fuori di sé (come in un’esperienza estatica). E l’epidermide mutante dell’Iron Man ricopre, fin dalla clamorosa sequenza dei titoli di testa, un corpo epilettico, posseduto, ospite di un’eterna mutazione (la mia fissazione rimane quella di vedere in formato split-screen squisitamente depalmiano da una parte il corpo mutante di Tetsuo dall’altra quello di Isabelle Adjani nella danza epilettica di Possession).

Il corpo sparisce, lo sguardo permane: la vista è essenziale per potersi vedere con i propri occhi e non riconoscersi, gioendo infinitamente del divenire perpetuo delle cose. Sotto l’acciaio, il cuore umano: Tsukamoto si conferma uno dei registi più autenticamente, più profondamente spirituali degli ultimi trent’anni. La materia è destinata a mutare perennemente, solo l’invisibile rimane intatto. La coppia, ormai unita nell’amalgama di ferro a due teste, è pronta all’estasi della guerra: “Trasformiamo il mondo in una massa d’acciaio. Facciamolo arrugginire tutto così che si sbricioli nel cosmo. Facciamo ardere la terra con il nostro amore.”

Si è spesso scritto della furia iconoclasta, distruttrice e liberatoria del cinema di Tsukamoto, ma qui sussiste la profonda malinconia di un presente che non si può più fermare. Le rovine del mondo urlano a squarciagola la loro instancabile, virulenta magnificenza (quanto futurismo, quanta velocità in questo grande cineasta!). Alle proprie spalle, l’atomica. Il mondo è già finito, Tsukamoto lo sapeva benissimo. E dopo? Dopo Hiroshima e Nagasaki? Dopo la catastrofe? Dopo gli olocausti? Liberi di scioglierci nella bellezza del movimento in-divenire, riconfiguriamo perennemente nuove declinazioni dell’occhio.

tetsu

Per amore di postilla: la prima volta che mi sono imbattuto in Tetsuo avevo quindici anni, al massimo sedici. Non conoscevo quasi nulla di cinema giapponese. C’era questa videocassetta che mio fratello vedeva in continuazione con i suoi amici. La lettura del nastro, un po’ rovinato, emetteva quel solito rumorino sgradevole - eravamo convinti che servisse a qualcosa soffiare sul nastro, come si faceva sulle cassettine del supernintendo. Ora immaginate la potenza devastante di questo film che non somiglia a nient’altro. Troppo veloce per bloccarlo, troppo disturbante per svanire, troppo virulento per non far parte di te. Il bianco e nero, i continui cut che inventano un nuovo ritmo della visione, un nuovo passo dello sguardo. La pista sonora martellante di Chu Ishikawa dove la musica sembra forgiare l’immagine, come se ne fosse il suo fantasma. E il corpo – questo sconosciuto! – che, come una crisalide, si fende (a me sembrava di aver aperto il vaso di Pandora!). Mi passavano per la mente tutti gli ossimori del mondo – senza sapere nemmeno cosa fosse, un ossimoro -. Orribile bellezza, erotico terrore, molto prima del parto impossibile di Gozu, molto prima di qualsiasi tendenza weirdo e di qualsivoglia iconoclastia orientale. Poco dopo scoprii La cosa di John Carpenter e, alla vista di quella testa mostruosa, iniziavo a capire. E oggi più di un brivido mi coglie mentre osservo la sequenza atomica di Twin Peaks 3, mentre Tsukamoto ritorna e, dopo aver scalato una collina (Nobi), dopo aver dato grana a nuovi doppi (Kotoko), riparte dall’atto stesso di uccidere (perdita della verginità come nuova configurazione del mondo): Killing!

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 20/09/2018
Giappone, 1989
Durata: 67 minuti

Articoli correlati

Ultimi della categoria