Napoleon
Forse quello di Scott è davvero l’unico biopic possibile oggi. Autoriale fino al midollo ma soprattutto conscio dello spirito del tempo. Così il Napoleone di Phoenix pare un “bit” costantemente masticato e spezzettato da una Storia ma anche da una Macchina Del Cinema che sembrano poterne fare ciò che vogliono, sottometterlo, riscriverne l'essenza profonda al di là di qualsiasi verità.
Scrivendo di The Last Duel, ci si era ritrovati davanti a un film a suo modo apocalittico, un progetto attraverso cui lo stesso Ridley Scott prendeva atto di una crisi imminente nel concetto di rappresentazione e nel linguaggio del cinema contemporaneo o, per dirla meglio, nel suo stesso modo di intendere la regia. E la soluzione che il regista aveva reputato più adatta per scongiurare la fine era stata una fuga. Verso altri spazi mediali (quelli della tv, della serialità) ma anche, forse soprattutto, verso modi alternativi, finali, di intendere uno dei suoi generi d’elezione, l’epico, il cavalleresco, lo storico. E così il dinamismo delle battaglie campali perdeva costantemente qualche giro e i valori dell’amore cortese svelavano tutte le loro ambiguità, complice anche un rapporto con la verità sempre più “post”, malleabile, riscrivibile secondo i punti di vista, che riscopre la sua natura di essenziale strumento politico per la costruzione di consenso.
Ridley Scott è forse, tra le righe, il primo a comprendere come, negli ultimi tempi, il trend di certi grandi maestri ancora in attività, posizionati all’interno delle coordinate del cinema contemporaneo, sia l’autoanalisi, la costante messa in discussione del loro linguaggio, dei loro immaginari. Scott come Scorsese e Killers Of The Flower Moon, dunque, ma anche come Fincher e i soliloqui “meta” di The Killer, o Mann alle prese con la morte e la resurrezione delle sue immagini in Ferrari. E allora qualsiasi riflessione sul suo Napoleon non può che partire da lì, dalla fine, volutamente rovinosa, dello sguardo di Scott, costretto in spazi non suoi, rifugiato in contesti straordinariamente “nel tempo” ma la cui agibilità deve ancora soppesare.
Prima, però, un rapido passo indietro: perché in realtà, da un certo punto di vista, la nuova forma del cinema di Scott l'ha già raccontata, quasi in forma di prologo, House Of Gucci, clamoroso requiem sulla fine di un modo di intendere l’immagine e prima esplorazione dei modi in cui i fotogrammi possono sopravvivere, non a caso simbolicamente uscito dopo il film con Ben Affleck, Matt Damon e Jodie Corner. È un cinema di replicanti che sanno di esserlo, quello su cui si costruisce House Of Gucci. cinema postmoderno ormai oltre il postmoderno stesso, cinema di copie e frammenti in fame d'aria, che sembrano cercare nuovo spazio vitale, magari grazie a una rete che li remixa e li sostituisce agli originali. E spesso ci riesce, se è vero che sui social spopolano le immagini dell’Aldo Gucci di Jared Leto molto più di quelle del vero Aldo Gucci, magari protagonista di qualche intervista del tempo. Ma si trattava, è evidente, solo dell’inizio di un percorso che chiedeva di essere continuato, approfondito. E forse Napoleon è davvero l’unico esito possibile dei ragionamenti di Scott, anche solo per il carico simbolico che si porta dietro: è un altro film storico carico di epica, legatissimo alla sua idea tradizionale di cinema, vicino a I duellanti, il suo primo film, ambientato proprio in età Napoleonica ma anche a Stanley Kubrick, di cui coglie più o meno direttamente l’eredità del progetto mai realizzato. Prima di ogni altra cosa, però, è un biopic. Ed è forse proprio il suo rapporto con la verità e la storia che fa saltare il banco in modo affascinante.
Ma andiamo con ordine. È ancora un film convintamente contemporaneo, Napoleon, anche solo per i suoi linguaggi, per il suo dichiararsi già “versione provvisoria, bisognosa di patch” del lavoro di Scott, che in realtà sta dando gli ultimi tocchi al vero progetto, un film monstre di quattro ore che verrà distribuito non in sala ma direttamente su Apple Tv+, una piattaforma dunque, che accoglierà la vera e propria Director’s Cut del suo lavoro. Ma l’essere “nel tempo” di Napoleon lo si intuisce, prevedibile, anche nella lettura ricercatamente “fragile” della mascolinità del generale, valoroso ma al contempo insicuro, legatissimo alla sua Giuseppina che spesso lo domina e da cui teme di non essere riamato. Le premesse, dunque, sono ancora tutte in The Last Duel da cui Scott prevedibilmente recupera anche quell’atteggiamento fuggiasco, che lo porta a giocare con le attese del pubblico, a dedicare all’epica del campo di battaglia poche (seppur lunghe, muscolari) sequenze e a chiudere il racconto delle traversie di Napoleone negli spazi di uno stranissimo melò fuori dal tempo di cui proprio Giuseppina sembra custodire le chiavi. Perché è chiaro, l’obiettivo è mettere in crisi quel formulario da “Tratto Da Una Storia Vera” tipico di un’idea di cinema evidentemente paludata, esondare in un lavoro teorico purissimo che prova a ipotizzare le forme in cui il biopic può continuare a sopravvivere ora, in un momento storico in cui quella verità, meglio ancora, quel reale, il reale della Storia, della vita dei soggetti rappresentati, sono colti nella crisi.
Per farlo Scott torna quasi alle origini del linguaggio cinematografico, come a recuperare i detriti di una forma in pezzi. E così si affida al montaggio ma quasi ne riscrive le regole di base, ricostruendo la vita di Napoleone accostandone i fatti essenziali quasi per metonimia, seguendo la capricciosa emotività degli anni che hanno visto la sua ascesa più che il rigore cronologico. Uno via l’altro si susseguono dunque l’assedio di Tolone, la repressione dell’insurrezione realista, l’incoronazione, “pezzi (volutamente) staccati”, quasi ipertesti richiamati da una diegesi che si preoccupa di seguire soprattutto una blanda successione logica degli eventi più che riflettere sulla loro storicizzazione. Sballottato tra questi estremi caotici, Napoleone non può dunque che divenire una sorta di avatar della Storia: immerso, innestato (e l’immersione e l’innesto sono, in effetti, due figure essenziali del nostro rapporto con lo spazio digitalizzato del cinema contemporaneo) a contatto con eventi storici di cui non è stato neanche lontanamente protagonista, come la decapitazione di Maria Antonietta.
È forse una delle vittime eccellenti della Post Verità, il Napoleone di Phoenix, spia evidente di quanto il cinema biografico oggi sia imprescindibile dal fact checking dello spettatore, che magari segue la visione, in casa, aiutandosi con smartphone e Wikipedia. Ma se il generale riletto da Scott viene mangiato, riprocessato dalla Storia, forse viene anche fatto a pezzi e rimasticato dalla Macchina Cinema, dal suo autore. Il sistema lo riduce a immagine spettacolare, a fotogramma/ingranaggio di un film scottiano fino al midollo proprio per il modo in cui piega il racconto al puro visivo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, cercando l’effetto, lo stupor dello sguardo a tutti i costi. L’elemento allora più vertiginoso del film (e, a margine, forse il dettaglio che tradisce con maggior chiarezza la sua contemporaneità) è la facilità con cui può essere suddiviso in veri e propri set pieces da cinema massimalista: le navi che scoppiano durante l’assedio di Tolone, le cannonate contro la punta delle piramidi in Egitto, i mortai che disperdono la folla rivoluzionaria; ma anche le battaglie, Austerlitz, Waterloo, che a ben vedere sembrano raccontare meglio di altri momenti i tratti di un cinema sempre più mutante, sequenze limbiche colte a metà tra il rigore della forma postclassica e le accelerazioni della macchina a mano, tra la richiesta, sottintesa, al pubblico di abbandonarsi all’ondata emotiva dell’evento spettacolare e il consiglio dato a mezza bocca di prestare comunque attenzione alla liceità di ciò che si sta vedendo, di esercitare il senso critico. Sezionare il fotogramma per discernere il vero dal falso, scampoli di un immaginario che trova nuova forza a contatto con la contemporaneità.