Non c'è più spazio per lo spirito anarchico del primo film, questo sequel mette in scena la tragica storia di un uomo in lotta con sé stesso, incapace ora di rifugiarsi nel calore e nella sicurezza delle sue (passate) fantasie.
Forse quello di Scott è davvero l’unico biopic possibile oggi. Autoriale fino al midollo ma soprattutto conscio dello spirito del tempo. Così il Napoleone di Phoenix pare un “bit” costantemente masticato e spezzettato da una Storia ma anche da una Macchina Del Cinema che sembrano poterne fare ciò che vogliono, sottometterlo, riscriverne l'essenza profonda al di là di qualsiasi verità.
Un secondo Bardo in versione hipster, cinema che non prevede spettatori ma testimoni, conferme, inteso come camera d’eco in cui installare l’ennesima cattedrale del sé mentre fuori il mondo brucia.
Mills prosegue il suo percorso d'ispirazione autobiografica con un film forse troppo formalista ma anche sincero, in grado di porsi in ascolto e fare della memoria, della voce dell'altro, la chiave di volta del percorso di crescita.
A James Mangold non interessa tanto l’amore, quanto l’impegno e la necessità dello stare insieme. Il suo è un cinema adulto sulla coppia e sulla sua messa in scena.
Realizzato e impacchettato per essere diverso dai tradizionali cinecomics, il film con Joaquin Phoenix vince il Leone d'Oro ma è incapace di creare inquietudine e di andare oltre la superficie.
Prodotto da Amazon, il secondo biopic di Van Sant trova nella storia del cartoonist John Callahan una naturale prosecuzione dei suoi universi di outsiders della West Coast.
Audiard scommette sull'incursione western e ne esce vincitore, tornando a riflettere sulla violenza all'interno del rapporto tra wilderness e civilization.
Paul Thomas Anderson porta sullo schermo l’ipertesto di Thomas Pynchon. Nel confronto "impossibile" tra i due autori, risiedono fascino, tensioni e conflitti di un film-labirinto.