The Ballad of Buster Scruggs

di Joel e Ethan Coen

Il western dei fratelli Coen è un parco divertimenti popolato da caricature e utili idioti, un gioco privo d'amore o empatia in cui si mette alla berlina la tragica casualità della condizione umana.

The Ballad of Buster Scruggs recensione film Coen

Si avvicinano alla chetichella, soprattutto uomini, hanno le facce impolverate e indurite dal sole. C’è chi siede su un barile rovesciato, chi resta in piedi, chi si sdraia direttamente a terra. L’attenzione di tutti si volge all’Impresario e al suo Artista, un ragazzo privo di arti che dal suo carro recita tra gli altri Shelley, Shakespeare e il discorso di Gettysburg. Intrattiene la folla, si guadagna da vivere, assistito dal suo agente/custode/assistente. Ma sono tempi duri per la gente di cultura, il pubblico chiede più frivolezza e meno poesia, più divertimento e meno pensiero. Ecco così che un gallo capace di contare prende il posto del giovane menomato, il cui destino è presto deciso nel fondo di un fiume. Non si fa problemi l’Impresario, lo show deve andare avanti e insomma, la vita è crudele e ingiusta ma tocca pur campare.

In quest’episodio di The Ballad of Buster Scruggs è facile ritrovare tutto il cinismo e la spietata vena dissacrante dei fratelli Coen, che continuano a ridere della e sulla vita esaltandone la casuale crudeltà priva di senso.
Come l’Impresario impersonato da Liam Neeson, i due fratelli non hanno problemi a giocare con la vita e la morte del loro materiale, del resto è impossibile individuare nella realtà che ci circonda un senso profondo che possa offrire un’alternativa al gioco del caso. The Ballad of Buster Scruggs è in questo senso esemplare, ogni episodio ruota attorno all’imprevedibilità del destino, al fallimento cui è condannato l’uomo quando cerca di dare forma alle cose. È il tema su cui i Coen hanno imbastito tutta la loro filmografia, un ritratto della condizione umana che in forme diverse nel corso degli anni si è fatto vera weltanschauung. Questo racconto corale del mondo western – nato da storie raccolte nel corso di venti anni, ideato come serie antologica per Netflix e diventato alla fine film ad episodi – raccoglie in sé personaggi travolti da coincidenze, sorprese, malintesi, perlopiù utili idioti trattati senza sconto alcuno.

Si fa sempre più freddo il cinema dei Coen, uno sguardo che in passato riusciva a mettere in scena la tragedia umana senza rinunciare all’empatia, alla vicinanza, sentendosi anzi parte di quel tutto come un’unica barca in balia del mare in tempesta. Quella stessa tempesta che chiudeva dieci anni fa A Serious Man, l’ultimo film in cui i Coen ci sono sembrati partecipi al dramma dei loro personaggi, forse punto di non ritorno di una filmografia ormai verticalizzata, nella quale il cinema e la Storia del cinema si limitano ad essere gli ingredienti di un gioco formale, fermo alla superficie delle cose. Non siamo agli irritanti livelli di Ave, Cesare! ma anche qui in The Ballad of Buster Scruggs è difficile trovare un vero omaggio al genere, in questo il caso il western, ridotto com’è a parco divertimenti popolato da figure appiattite e stilizzate. L’episodio che apre il film è una vera e propria parodia, sicuramente divertente, alla quale però seguono episodi talmente affaticati e fedeli alla visione autoriale dei fratelli da dare l’impressione del pilota automatico, della maniera che si ripete stancamente uguale a sé stessa. E se coinvolge comunque il variare del tono della narrazione, che dall’ironia spensierata vira in un plumbeo clima di morte, sfugge il senso generale dell’operazione, serie di caroselli popolata da personaggi senza anima, raccontata senza emozioni.
Paradossale omaggio alla storia di un genere in cui non vi è traccia d’amore ma solo sarcasmo e freddo distacco. Un gioco che ormai non ci interessa più.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 01/09/2018

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