Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie

di Matt Reeves

Con Apes Revolution il reboot de Il pianeta delle scimmie si conferma la migliore saga spettacolare del cinema americano degli ultimi anni.

apes revolution

Con un elegante movimento circolare Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie si apre e chiude sugli occhi di Cesare, ma da un estremo all’altro della circonferenza tutto è cambiato. Il primo Cesare è l’indiscusso leader della sua tribù, capo carismatico forte ma giusto, intenzionato a costruire la miglior casa possibile per sé e la sua famiglia. Il secondo Cesare invece è il capo militare, colui che in un modo o nell’altro ha già perso, perché la guerra sta arrivando e nulla potrà esser fatto per evitarla. In mezzo tra i due l’eterno ritorno dell’uomo, la lotta tra la pacificazione e la violenza, tra le utopie più alte e gli istinti più bassi, tra il sogno e la paura. “Credevo davvero potessimo avere una possibilità” dirà con amarezza il personaggio di Jason Clarke, l’umano che assieme a Cesare cercherà di preservare la pace. Ma la guerra è un meccanismo che si alimenta da sé, che si nutre dei suoi stessi morti e feriti. Anche tra uomini e scimmie, la guerra non cambia mai.

Seguito di uno dei migliori blockbuster degli ultimi anni, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie raccoglie l’eredità del suo precedente, elevandola e raffinandone gli ingredienti. Il risultato è un film sorprendente, per coraggio e ambizione, capace di rimestare nel più classico degli intrecci senza perdere nulla del proprio potere mitopoietico. Del resto alla regia adesso c’è Matt Reeves, un regista più maturo e completo del suo predecessore, capace di coniugare l’approfondimento psicologico della prima parte con la spettacolarità bellica della seconda. Che Reeves fosse un regista da tenere d’occhio comunque lo si sapeva già da Cloverfield, e l’interessante remake di Lasciami entrare aveva confermato quei sospetti. Tuttavia, aiutato da una sceneggiatura intelligente e ambiziosa, è qui che il regista americano trova la sua maturità, il primo grande film della sua carriera, che uscito a ridosso dei Transformers di Michael Bay ne appare davvero l’opposto. Accomunati da un avanzato uso del digitale in un’ottica post-umana (lì i robot, qui le scimmie), i due film differiscono del tutto nel rapporto che si istaura tra tecnologia e narrazione. Se per Bay la CGI è piegata a fini puramente spettacolari e compositivi, per L’alba del pianeta delle scimmie prima e Apes Revolution dopo il digitale è il carburante necessario ad alimentare una macchina sì spettacolare, ma intelligente e umanista, che non rinuncia a raccontare una storia forte incentrata per di più su un discorso di chiara matrice politica. Ma se nel primo film l’avvento delle scimmie ricordava l’inasprirsi della lotta classista al diffondersi della cultura nei ceti subalterni, questo secondo capitolo abbandona con amarezza tale radicalità, recuperando invece la tarda tradizione western del rovesciamento tra indiani e cowboy, in un ribaltarsi di punti di vista che priva le due parti in conflitto di alcuna superiorità morale. Come fu con Avatar torniamo ad identificarci e credere nei nuovi indiani, nelle razze ricreate dal digitale della motion capture, condotta qui allo stato dell’arte. Ma ciò che rende ancora più interessante tale slittamento è il modo in cui nel film di Reeves il rovesciamento ideologico corrisponda ad un mutamento ontologico nella struttura del film. Come per il precedente, anche in Apes Revolution la componente umana appare superficiale e bozzettistica, mentre tutta l’attenzione psicologica è riservata al mondo delle scimmie, in una sostituzione extra-diegetica che si fa anche narrativa se pensiamo all’esito della saga, alla sparizione dell’uomo dalla Terra (e quindi dal cinema).

Ciò comunque non rende Apes Revolution un film teorico e distaccato, anzi. Ad evidenziare il cuore pulsante del film di Matt Reeves bastano i terribili ma inevitabili echi che ne attraversano la visione in questo momento, nei giorni e nelle ore di bombardamenti incessanti, di guerra praticamente sotto casa nostra, appena al di là di uno stupido mare. Anche la realtà allora sembra dirci, come la Storia, che l’inevitabilità dello scontro tra uomini e scimmie fa parte della nostra natura, che la guerra resta una soluzione imprescindibile, figlia delle azioni e dei peccati e dei soprusi che abbiamo compiuto o subito o lasciato fare nel corso della nostra storia. E’ in queste tristi considerazioni che con Apes Revolution il reboot de Il pianete delle scimmie si candida ad essere la migliore saga spettacolare del cinema americano di questi nuovi anni Dieci.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 07/08/2014

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