Antlers

di Scott Cooper

Un curioso monster movie resistente alle regole del mercato, che cede sotto il peso dei suoi obblighi offrendo però un’idea di cinema da preservare.

Antlers - horror cooper film

La prima inquadratura è quella di uno stabilimento in disuso. È in questo spazio che si annida il mostro, il demone al centro del racconto, che insidierà la vita del piccolo Lucas spargendo il terrore nell’altrimenti tranquilla provincia americana. Ma questa squallida fabbrica convertita in crack house ha tutto il peso di un prelievo dall’immaginario (post)industriale dello stesso Scott Cooper. È, certo, un detrito oscuro, quasi corrotto, di quello spazio, ma è un segnale fortissimo che indica quanto il regista, con tutto il peso del suo sguardo, sia presente sulla scena. È un fatto da non sottovalutare. Quello su cui si muove Antlers è in effetti un territorio scivoloso. Poco c’entra, in realtà, il fatto che sia la prima volta nell’horror per Cooper, un cineasta che ha fatto del continuo attraversamento di generi e linguaggi il centro della propria cartografia autoriale. Piuttosto, il vero spazio inedito, tutto da esplorare, per Cooper, è legato alla dimensione produttiva da cui nasce il film. Antlers si porta in effetti dietro nomi importanti, legati a doppio filo, soprattutto, alla complessa dimensione del cinema pop massimalista e di quello delle piattaforme. Tra gli sceneggiatori c’è infatti Nick Antosca, autore del fumetto alla base del film ma soprattutto firma sempre più prominente di certo cinema e serialità di genere (è lui l’autore dietro al cult Netflix come Brand New Cherry Flavor); in produzione, spicca invece il nome di David S. Goyer, personalità tanto centrale quanto, a tratti, castrante del cinema contemporaneo, alle spalle dei cinecomic di Snyder, collaboratore alla scrittura dei Batman di Nolan, showrunner del kolossal sci-fi di Apple tv Foundation, un nome forse ancora più ingombrante di quello di Guillermo Del Toro che, in veste di executive, patrocina il film di Cooper.

Antlers colpisce però soprattutto per la sua affascinante natura di film escapista, di progetto che Cooper utilizza alla stregua di un grimaldello per muoversi tra le pieghe e i punti ciechi del cinema popolare, nel tentativo di piegare il materiale di partenza al suo immaginario. L’obiettivo è, evidentemente, un horror dal piglio quasi utopistico, che prima di assecondare il mercato sia riconoscibile come tassello nel percorso del suo regista, oltreché come vera e propria anomalia di un sistema ripensato da zero a opera di quell’identità autoriale che un contesto del genere vorrebbe annullare. Antlers è dunque l’exit strategy che Scott Cooper usa per sfuggire al cinema degli executive ma è anche, per certi versi, un coraggioso monster movie alla seconda potenza, in cui il regista passa la maggior parte del tempo a evadere dagli obblighi che il target e il taglio del racconto gli imporrebbero, provando a intrappolarli dietro a una porta chiusa come fa Lucas con la presenza oscura con cui è costretto a convivere.

La volontà, da parte di Cooper, di trovare il suo spazio di manovra in una dimensione che dovrebbe respingerlo, è forte, forse anche perché la sua stessa idea di cinema è infettata da un’oscurità, da un’ambiguità, identiche a quelle che caratterizzano il contesto con cui ora si ritrova a confrontarsi. Fin dagli esordi il regista dialoga con le immagini al fine di lavorare a una sorta di mitologia negativa dell’America contemporanea, nutrita di miti e riti oscuri e popolata da cantanti country alcolizzati (c’è musica più americana del country, in effetti?), di gangster stanchi, di soldati razzisti tormentati dai fantasmi di Little Big Horn, ognuno centro nevralgico di un immaginario che va dal drama al western passando per il gangster movie, e arrivando, infine, a un horror che pare essere l’apice di questo riattraversamento al nero dell’American Way Of Life.

Antlers è dunque un ambizioso horror, che gioca con la scala dei campi per lavorare esattamente sulla soglia tra cinema popolare e autorialità. In questo senso è un film quasi tutto giocato sul rapporto tra spazio scenico e fuori campo. I momenti horror più spinti vengono lasciati intelligentemente sullo sfondo, liberi di riverberare sulla scena ma trattati alla stregua di interferenze, rielaborati, rilanciati nello spazio del racconto da una diegesi che sembra accontentarsi delle soluzioni più convenzionali per approcciarli. A Cooper, in effetti, quel tipo di orrore non interessa mai davvero, è solo un’esca, un pretesto per inserire il film in una determinata fascia di mercato. Il vero horror è in primo piano, costeggia gli abusi in famiglia, l’alcolismo, la dipendenza dagli antidolorifici (vero e proprio demone dell’inconscio collettivo americano), gli sfratti, le carcasse animali. Il risultato è una cartografia oscura della provincia meccanica, quella popolata dagli outsider, da quelli che non ce la fanno, caratterizzata da un degrado che altri vorrebbero nascondere sotto al tappeto. Lentamente, Antlers trasfigura le atmosfere visionarie del soggetto per avvicinarsi al linguaggio da inchiesta dei saggi di Sam Quinones e di John Temple. I momenti migliori sono quelli che mandano il film fieramente fuori mercato: i tempi dilatati, i silenzi trademark di Cooper, i continui scartamenti che portano il racconto a deviare dal gore per riflettere sul trauma e per lavorare sull’introspezione psicologica spostando il focus sull’ottima chimica tra i personaggi di Keri Russell e Jesse Plemons.

Ma, con il tempo, la fuga di Scott Cooper perde potenza. Alla fine, Antlers cede sotto la potenza del Monster Movie di marca Del Toriana, esorbitando in un ultimo atto irrimediabilmente rigido, fiacco, evidente segnale di quanto l’unico horror possibile, per Scott Cooper, sia quello riscritto dal suo sguardo. Alla fine, la battaglia è persa, il cinema della franchise Age ha vinto un’altra volta, ma Antlers, nel suo essere un monster movie solo raramente a fuoco, rimane, oltreché l’inatteso tassello centrale nella filmografia del suo autore, un film che custodisce una preziosa idea di cinema da preservare: liminale, coraggiosa, ribelle alle regole del mercato e a quelle di certa spettatorialità.

Autore: Alessio Baronci
Pubblicato il 09/11/2021
Canada, Messico, USA 2021
Regia: Scott Cooper
Durata: 99 minuti

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