Una lucida riflessione sullo stato di salute dell’immagine nell’MCU, ma anche, sottotraccia, il riflesso ambiguo di un panorama opprimente, in cui il cinema appare sempre più laboratoriale e sintetizzato dal lato oscuro dell’algoritmo.
Nell'anti-melò di Ridley Scott le passioni scompaiono, sostituite da manichini di plastica e occhi(ali) senza volto. Cerebrale e coerente: ma vincere l'Oscar così è dura.
Pamphlet apocalittico, satira frontale, ma soprattutto fotografia non troppo deformata di un'umanità indifferente a tutto perché ormai incapace di comprendere sé stessa e affrontare il reale. Adam McKay torna con il suo progetto più ambizioso e disfattista.
Dopo "The Irishman" un altro film sulla morte del cinema come architrave del novecento, ma anche e soprattutto un gesto di vitalità estrema in cui immagini classiche e contemporanee vengono poste a dialogo, ricercando nella storia dell'immaginario una nuova sintesi.
Un'operazione anacronisticamente e orgogliosamente analogica nel bel mezzo dell'era digitale, imperfetta ma totalmente consapevole nel suo rifiuto ostinato delle regole del blockbuster contemporaneo.
L'adolescenza, Napoli, la speranza e il dolore: per la prima volta Paolo Sorrentino rivolge direttamente l’obiettivo verso la propria intimità e il proprio vissuto
Con Cry Macho, Clint Eastwood demitizza il suo passato e dona la propria crepuscolare icona all'eternità - o, forse, semplicemente a un sogno in cui poter danzare liberi da qualsiasi costrizione terrena.
Il franchise torna nella galassia Reitman e omaggia il suo glorioso passato. Ma è un falso movimento, restaurazione di un sistema infestato da spettri digitali che rifiuta di guardare al futuro. Tra tutti i ritorni a casa, questo è forse il più facile.
Anderson spinge le sue immagini fino alla radicalità per tentare un discorso di elaborazione del trauma della morte ma paga un prezzo troppo alto: perde il mondo e perde il cinema.