Alps

di Yorgos Lanthimos

La crisi dell'identità secondo Yorghos Lanthimos

L’universo di Alps è una dimensione che sembra disubbidire al concetto di logica, così come la pensava Aristotele intorno al IV secolo a.C.. Il filosofo greco è il padre della disciplina che in epoca medievale ha preso il nome di Logica Classica, la quale attraverso argomentazioni deduttive dimostrava la veridicità di un ragionamento. La Logica Classica si articola di tre norme significative di cui il precetto fondante è il cosiddetto “Principio d’identità”, secondo il quale un enunciato o espressione linguistica implica sempre se stesso, ovvero E è sempre uguale ad E. Dunque, secondo tale principio, un enunciato logicamente definito esprime sempre un significato immutabile, costante. Tale logica non investe soltanto il pensiero del soggetto ma anche il soggetto in sé, che sotto questa prospettiva diventa un’entità inscindibile: l’identità dell’uomo è una, ed è verificabile dal momento in cui un soggetto A, fisicamente e psicologicamente, non è mai simile al soggetto B.

Yorgos Lanthimos, anch’egli di origine greca come Aristotele, attraverso la sua ultima pellicola decostruisce in modo definitivo l’ordinamento della logica classica a favore di un nuovo principio d’identità, in cui quest’ultima non è mai unica e indivisibile ma sempre soggetta al mutamento. Significante e significato, per dirla alla Ferdinand De Saussure, sembrano non corrispondere. In Alps le identità dei soggetti sono destinate al crash, allo scontro mortale, in cui l’Io, in quanto Sé, non coincide mai con l’Io rappresentato o sociale. L’Io non riesce dunque a identificarsi con se stesso. Ma perché questo?

Il film mette in scena la storia di un gruppo di persone che prende il nome di Alps (Alpi), formato da un paramedico, un’infermiera, una ginnasta e il suo allenatore. Il lavoro di questa organizzazione è di sostenere psicologicamente dei nuclei familiari attraverso il rimpiazzo di quegli spazi (fisici ed emotivi) lasciati da persone defunte. In altre parole ogni adepto assume momentaneamente una nuova identità, attraverso una recita fatta di gesti e parole che riattivano quell’insieme di caratteri fisici e psicologi della persona che non c’è più. La vita quotidiana per ognuno di essi diventa quindi una messa in scena in cui le diverse identità si mescolano, dando vita ad una pluralità di soggettività. Si tratta di recitare una vita, un ruolo, di essere per alcune ore al giorno un sé estraneo, l’Altro in senso lacaniano ma mancante però, in quanto si tratta pur sempre di persone morte. Ma è riattivando questa mancanza che il quotidiano si riempie di nuovi significati, rimettendo in funzione non solo un ricordo ma la continuità gestuale della persona scomparsa. In alcuni momenti tale attività diventa puro meretricio, una prostituzione retribuita del proprio corpo, atti sessuali recitati per il piacere dell’altro, in memoria dell’assente. In questo senso potremmo dire che il sostituto diventa feticcio che supplisce un’assenza, riempendo, attraverso il godimento, un vuoto incolmabile.

La problematicità di Alps non si esaurisce nella dinamica della speculazione, in quel mercato in cui si acquistano e si vendono identità, ma risiede nell’incapacità insita in chi concede il proprio sostegno di riacquisire la propria identità, di ritornare dopo la messa in scena al proprio Io. Tale scabrosità è attivata dalla vera protagonista del film, l’infermiera, una donna per cui recitare un ruolo diventa l’unica possibilità della propria esistenza. Se da un lato ella cerca di riempire la carenza del suo committente, allo stesso tempo così colma le proprie mancanze. Sotto questo punto di vista l’identità è un involucro vuoto, saturabile soltanto attraverso l’acquisizione di un ruolo, di una maschera non solo sociale ma anche cognitiva ed emotiva. Sembra proprio che scavando internamente a se stessi non ci sia assolutamente nulla.

Questa condizione esistenziale si riflette inoltre nello stile asciutto e disadorno della regia di Lanthismos, che cerca attraverso i lunghi silenzi e i gesti meccanici degli attori di denudare i personaggi al punto in cui non resta altro che la carne, la materia lacerata dell’umano. L’assoluta insistenza sui primi piani e la mancanza di profondità di campo dimostrano come il concetto d’identità sia qualcosa di poco definito, che sfoca la nostra percezione del mondo e delle cose.

Autore: Roberto Mazzarelli
Pubblicato il 18/02/2015

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