Spider-Man: Homecoming

Jon Watts riesce ad innovare restando dentro il canone: Homecoming è il brillante ritorno dell'Uomo Ragno alla Casa delle Idee.

Il senso di Spider-Man: Homecoming sta in gran parte già nel suo titolo: dopo una trattativa durata anni Spider-Man torna a casa, ovvero ai Marvel Studios, e finalmente si inserisce nella continuity del Marvel Cinematic Universe; ma il ritorno è anche quello di Peter alla vita da quindicenne dopo la battaglia di Civil War, durante la quale è riuscito a incontrarsi, e scontrarsi, con i suoi eroi.

Homecoming è il ballo scolastico delle High School americane, dunque inserire questa parola all’interno del titolo è anche una scelta di contestualizzazione importante, dato che coerentemente per la prima volta abbiamo un vero Spider-Man adolescente alle prese coi problemi di quell’età, e forse il più afferente all’universo di riferimento originario del fumetto. Dopo un Peter Parker influenzato dall’horror e dal B-movie e uno con pretese di hipsterismo, la Marvel ha scelto di fare del “suo” Uomo Ragno cinematografico quello che è stato fin dall’inizio nei fumetti, ovvero un personaggio con cui il lettore/spettatore ideale possa identificarsi (probabilmente, indipendentemente dall’età), quasi letteralmente un fan trasportato per un po’ nel mondo dei propri idoli e che deve fare i conti con un difficile ritorno alla routine della scuola e alle limitazioni imposte sia dalla vita familiare che dallo stesso Tony Stark.

La scelta dunque, è quella di distanziarsi dalla struttura ormai consolidata della origin story (in questo caso non solo ripetitiva, ma anche tutt’altro che necessaria) e riservare al personaggio simbolo della Casa delle Idee una presentazione che sottintende l’acquisizione dei poteri e si concentra invece sul coming of age.

Il concetto-chiave della filosofia di Spider-Man, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, non viene esplicitato ma emerge prepotentemente dalla narrazione che ci propone un eroe già perfettamente a proprio agio con i propri poteri ma impossibilitato a utilizzarli (sia per via di un “Training Wheels Protocol” imposto da Tony Stark, sia per paura di mettere in pericolo e in ansia Zia May), incastrato in quella terra di mezzo dell’adolescenza in cui non si è ancora completamente adulti ma neanche più bambini. E come tutti gli adolescenti, Peter si ribella per dimostrare il proprio valore ma al tempo stesso è bisognoso di approvazione costante.

Una storia di formazione, dunque, che prende le forme di una commedia che molto deve al cinema di John Hughes e alla tradizione della comedy adolescenziale degli anni ’80; se avessimo dei dubbi, le citazioni esplicite di Breakfast Club e Una pazza giornata di vacanza chiariscono ulteriormente che questo è il genere in cui Jon Watts sceglie di muoversi, e la scelta è decisamente felice.

Lontano dal comico esplicito di Guardiani della Galassia e Ant-Man, Spider-Man: Homecoming può così muoversi in un terreno finora inesplorato dal MCU, ma allo stesso tempo familiare allo spettatore; la Marvel sembra essere più che consapevole di avere a che fare con un pubblico tutt’altro che adolescenziale e sceglie quindi di coinvolgerlo in un’operazione affine più a prodotti come Stranger Things che agli ultimi, ben poco riusciti film standalone come Doctor Strange. Un’operazione nostalgia, in parte affine ai film di Raimi di un decennio fa per il dichiarato debito verso l’horror e in generale il cinema della fine degli anni Ottanta, ma capace di attualizzarsi metabolizzando sia il genere young adult contemporaneo che le sue origini per così dire filologiche.

Spider-Man: Homecoming è un film che innova il canone Marvel proponendo una struttura narrativa a sé stante, ma che parte da un universo già così condiviso da non aver bisogno di troppe introduzioni: è l’esatto contrario di ciò che è accaduto con Doctor Strange e Iron Fist, in cui il desiderio di “spiegare” il genere e piegare le regole del wuxia alle logiche del franchise hanno indebolito lo scheletro stesso del prodotto, finendo per banalizzare argomenti complessi che avrebbero meritato una trattazione più approfondita e soprattutto più coerente al genere di riferimento.

Qui, invece, ci troviamo nella più pura essenza dell’americanità fatta di armadietti e feste di scuola, genitori amorevoli che proteggono la famiglia a qualsiasi costo (anche trasformandosi come nel caso di Michael Keaton, peraltro villain pressoché perfetto, in mercanti d’armi chitaure), grocery stores e visite scolastiche a Washington DC. Un’America che come sempre cambia restando la stessa, in cui i supereroi e le invasioni aliene sono già metabolizzati ampiamente dalla popolazione e sembrano avere inciso ben poco sui reali ritmi di vita del cittadino medio.

Ma cos’è, in fin dei conti, Spider-Man se non l’eterno archetipo dell’adolescente e allo stesso tempo l’incarnazione di un modello ispiratore per propri fan? In questo film l’identificazione è totale e mirata a stimolare un rapporto affettivo con lo spettatore, che non può fare a meno di adorare Tom Holland (perfetta combinazione tra nerd impacciato e giovane attraente) dal primo minuto e da questo momento, come Tony Stark, sarà incline a perdonargli qualunque leggerezza perché in fin dei conti si comporta da ragazzo quale a tutti gli effetti è.

Per questo, pur non rappresentando un vero passo avanti nella continuity, Spider-Man: Homecoming è un’innovazione così importante dal punto di vista della rivitalizzazione della mitologia del personaggio e della sua messa in scena da poter rappresentare un momento di rinnovamento ancora più significativo di quello siglato da James Gunn. Perché è la prova concreta che è possibile innovare, divertire, evitare di piegarsi passivamente alle necessità di continuity pur restando pienamente nel canone.

Aspetto non meno importante, Spider-Man è anche il veicolo per trasportare il personaggio di Tony Stark nella nuova fase del MCU, ricollocandolo in un ruolo meno centrale senza fargli perdere il ruolo di stratega e punto di riferimento grazie al rapporto che instaura con Peter, al tempo stesso figlio putativo e fan scatenato; Parker, come ogni fan, è assieme idolatrante e critico e non può non ricordare la fanbase stessa della Marvel, che attendeva la Casa delle Idee al varco di una prova così difficile con sentimenti altrettanto ambivalenti.

Per il momento la sfida non può dirsi che vinta dato che Spider-Man: Homecoming non è soltanto divertente, interessante e ben ritmato, ma è anche uno dei film Marvel che si interessa di più ai personaggi secondari – con una particolare attenzione alla diversity sia etnica che di genere, che sfocia anche in un lavoro non banale sui ruoli femminili – intuendo chiaramente quanto questi siano fondamentali per costruire un universo credibile che traghetti i supereroi dall’iperuranio delle sfide cosmiche all’idea dell’amichevole Spidey di quartiere, che non solo era la più vincente tra le idee messe in campo dalla trilogia di Raimi ma è anche la grande sfida (per il momento, realizzata in modo mediocre) dei Defenders stessi in ambito televisivo. L’enorme patrimonio costruito dalla Marvel in sedici film avrà un futuro reale solo se sarà in grado di evolversi, restando fedele alle proprie origini, e in questo senso Spider-Man: Homecoming potrebbe essere un passo decisivo.

Autore: Eugenia Fattori
Pubblicato il 17/07/2017

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