RendezVous 2014 / Mea culpa

Fred Cavayé è un regista di classe sconfinata, anche se non è esattamente il Michael Mann transalpino, come qualche improbo francofilo col gusto della provocazione intellettuale potrebbe cercare di convincervi. Però è un solido imballatore, un artigiano muscolare e di mestiere, che le mani sa come sporcarsele e che ha anche realizzato uno dei film francesi più belli degli ultimi anni (quel Pour elle da cui Paul Haggis ha poi realizzato il suo ben più inutile remake The Next Three Days). Il sito che leggete, poi, porta incidentalmente il nome di un altro suo film: Point Blank, À boutportant il titolo originale. Anche a quelli bravi, però, capita di lasciarsi prendere la mano da operazioni più all’insegna del laissez-moifaire, alla larga da impicci autoriali di qualsiasi tipo e tutte spinte sul pedale dell’acceleratore del divertimento, della funzionalità effettistica, dell’adrenalina fine a se stessa. E’ il caso del suo ultimo Mea culpa: impegnativo titolo latino, punto di partenza apparentemente altisonante (il senso di colpa, le sue conseguenze), ma, alla prova dei fatti, ambizioni praticamente zero. E non è detto che sia un male. Infatti è d’obbligo fare anche in questo caso un discorso già affrontato per un altro film di quest’ultima edizione del Rendez-Vous del Nuovo Cinema Francese (Pour une femme di Diane Kurys), aprendo una parentesi e chiudendola subito: un cinema poliziesco magari anche alimentare ma ben fatto e di calibro più che dignitoso nel panorama italiano attuale è praticamente impensabile. Dalle nostre parti, con la convinzione – non infondata – che i biglietti sfarfallino solo per le commedie un film così non ha diritto d’asilo, a livello né cinematografico né televisivo. Ai francesi, piuttosto che invidiarli spesso in modo meccanico, bisognerebbe provare a rubare proprio questa dote: la versatilità, la concezione sfaccettata e orientata a 360° delle produzioni cinematografiche, una caratteristica che da noi lascia il tempo che trova o che ci ha piuttosto lasciato definitivamente perché di tempo per lei non sembra averne più voluto trovare nessuno. Lo si dice sempre, ma rimane una bella intenzione da sbandierare a parole più che da attuare concretamente.

In Mea culpa invece le chiacchiere stanno sì a zero ma consapevolmente: la sceneggiatura è solo un esile filo per tenere insieme un birignao onesto e di pregevole fattura sinestetica in cui due poliziotti, i bravi Vincent Lindon e Gilles Lellouche, si ritrovano nel mirino di criminali senza scrupoli in un quadro che ingloba anche i loro affetti. Il figlio del personaggio di Lindon, infatti, ha visto qualcosa che non doveva vedere nei sotterranei di un’arena della corrida dei tori, e da ciò partirà un pedinamento all’ultimo sangue che conoscerà diverse tappe una più probante dell’altra. Un punto di partenza piuttosto appiccaticcio che dà vita ad altrettante incongruenza a dir poco forzate, a slanci narrativi poco plausibili e verisimili, a riprova del fatto che oltre a voler giocare in maniera goduriosa con la costruzione delle scene Cavayé, a questo giro, non sembra poi aver voglia di fare molto altro. Lavora sul profilo basso e sul colpo di scena action da dare in pasto al pubblico, Mea culpa, con un pizzico d’ironia e delle dosi minime di mélo nero addensato d’ombre. Significativa a questo proposito è la scena iniziale: un’auto con dei vetri appannati, pensiamo sia in corso un incontro sessuale e invece la condizione dei vetri stessi è dovuta ai respiri ansimanti per una violenta colluttazione corpo a corpo ma di natura violenta e non erotica. Il film insegue questo meccanismo tendente alla sorpresa pur minima da elargire allo spettatore e spesso lo teorizza anche, forte di un’aurea mediocrità che si pone alla larga da ogni rischio e punta al cuore, senza timore di inserire il pilota automatico e andare, andare, andare. Questo film non è un teorema sulla casualità del male e sulla genesi del senso di colpevolezza, perché non è un film di scrittura. E’ un manualetto basilare, non un saggio. E la differenza in questi casi è una questione di semplice destinazione d’uso.

Autore: Davide Eustach…
Pubblicato il 09/10/2014

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