Spencer

di Pablo Larraín

Pablo Larraín restituisce la fiaba orrorifica di Lady Diana

Spencer-recensione

Non è Lady D. e neanche Diana, qui è Spencer. Un’altra possibilità della Principessa di Galles, la principessa triste, la principessa del popolo. E qui non c’è la Storia a fare da sfondo, né il gossip ingannevole. Questa è una “favola da un tragedia vera”, come in esergo.
Pablo Larraín realizza un altro ritratto femminile che non è biopic, ma effigie romanzata di una figura iconica, proprio come Blonde di Joyce Carol Oates. E come Oates con Marylin, Larraín utilizza Diana Spencer per mostrarci la spazialità di un mondo lontano. Non è Hollywood qui, ma la famiglia reale con le sue regole, con la sua finzione, proprio come nel cinema.

La figura impacciata, la recitazione esasperata e rotta di Kirsten Stewart (in una delle sue interpretazioni migliori), si muove in quella residenza che diventa il suo Overlook Hotel, in quei tre giorni che la separano dalla libertà che sta cercando di afferrare. Si oppone Diana a quella famiglia che la respinge e li tiene sotto scacco con ritardi, indifferenza, ostinandosi a cambiare gli abiti scelti. Esile Diana, diafana, ma forte e beffarda. Questa enorme residenza non porta alla follia, ma le permette di scegliere una vita normale, lontana da norme, silenzi, inchini. Diana rifiuta quella freddezza così come rigurgita quel cibo così raffinato, tanto da essere trasportato da un esercito, proprio all’inizio dei tre giorni delle feste natalizie.
Il tempo è scandito da cene, rituali, merende, battute di caccia e soprattutto il tempo è imposto da quali abiti indossare per ognuno di questi momenti. E Diana sfida quelle norme. Ogni vestito corrisponde per lei a un sentimento, a uno slittamento di volontà, a un desiderio che, trasgredendo quelle regole, prende piano piano forma. Larraín ci restituisce la fiaba dalla tragedia, dà a Diana la complessità di un’intera esistenza, le restituisce il suo passato (Spencer) e le permette un nuovo futuro, il miracolo che non è mai avvenuto: Kentucky Fried Chicken e un brano di Mike & The Mechanics, All I need is a Miracle. Appunto. 

La principessa smarrita vaga nelle nebbie del Norfolk, in una scena che ricorda la brughiera di Conan Doyle, e ritorna alla casa dove è cresciuta, ormai fatiscente, come il passato che ha dovuto cancellare per costruire la figura pubblica della futura regina. E lì Anna Bolena, figura a cui si lega in questi giorni di cambiamento, le concede una nuova epifania. E può distruggere finalmente ciò che la soffoca, rivestire lo spaventapasseri della sua tenuta di famiglia e ricongiungersi con la parte obbligata a nascondere. In un via vai di figure vuote, quasi manichini che si muovono intorno alla figura di Diana, spicca quella della guardarobiera Maggie (Sally Hawkins) che accompagna la principessa nel suo cammino di rivelazione: poter ricevere amore. Loro, i Reali, sono figure di contorno, tratteggiati come ostili ma necessari nel percorso di metamorfosi. Diana così può finalmente strappare quella collana che la costringe, sfilare le tende cucite per ingabbiarla. Può finalmente correre su una macchina che non la ucciderà. E ballare, libera, di nuovo.

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 04/04/2022
Germania, Cile, Regno Unito 2021
Durata: 111 minuti

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