CINEMA E TEMPO - Palm Springs

di Max Barbakow

Variazione sul tema del giorno della Marmotta, un nuovo loop temporale per raccontare la crisi esistenziale della generazione Y per cui "tutto ciò che è solido svanisce nell'aria".

palm springs - recensione film

[Questo articolo fa parte di uno speciale dedicato al rapporto tra cinema e tempo, un approfondimento nato sulla coda lunga di Tenet, il film di Christopher Nolan che in questo difficile 2020 aveva riaperto una stagione cinematografica e riportato il grande pubblico in sala, seppur tra le tante difficoltà. Oggi, al momento in cui si scrive, quel tentativo è di nuovo interrotto, ma la suggestione del viaggio nel tempo rimane, la conserviamo come uno dei tanti, sottili fili che ci legano e riportano alle immagini. Perché il cinema, che fosse attraverso le griglie rodate del genere o l’interpretazione personale dello sguardo autoriale, si è sempre interrogato sulla quarta dimensione, ne è emanazione e macchina del tempo esso stesso, per come ci permette di viaggiare per ere prossime o lontane].

«L’atteggiamento realista richiesto dal capitalismo dominante è fondamentalmente depressivo, […] ci attendiamo pochissimo dal futuro: non succederà mai niente di nuovo. Poi iniziamo a pensare che forse le cose che sono successe in passato non erano in realtà così importanti. E alla fine accettiamo che non è mai successo niente, né potrà mai succedere. Più la depressione si normalizza, più diventa difficile identificarla. Aspettative radicalmente ridimensionate si trasformano in normalità. Il tempo si livella».
Mark Fisher, In questo momento il nostro desiderio è senza nome

Premi play, stop, rewind. E di nuovo play. E ancora. E ancora. E ancora. Fino a quando?
Quello del giorno della Marmotta è un meccanismo temporale con cui tutti, più o meno consapevolmente, abbiamo a che fare. E non tanto per come, dal film di Harold Ramis in poi,  venga applicato con successo a diversi tipi di storia, che sia commedia romantica, fantascienza spaziale o indagine esistenziale. Il loop del giorno-che-si-ripete-e-ricomincia-all’infinito è infatti un falso movimento che ben fotografa la stasi routinària fatta di casa-lavoro-casa su cui è basata la nostra società, alveare di unità impegnate nel loro ciclo produttivo che si reitera sempre uguale a sé stesso. Questo valeva soprattutto al tempo dell’economia fordista, quella per intenderci delle grandi masse popolari assegnate a una certa fabbrica e a un certo ruolo da qui al resto della loro vita, intrappolate in prassi chapliniane disumanizzanti e sempre uguali a loro stesse. Era il regno della noia perpetua, dell’eterno ritorno dell’identico, e su quel terreno di alienazione e stordimento ha avuto gioco facile il tardo capitalismo che oggi, semplificando, definiamo neoliberale, un orizzonte di lavoro digitalizzato, delocalizzato, frammentato, le cui lusinghe promettevano libertà, emozione, maggior responsabilità e autonomia ma che di fatto hanno sostituito a un sistema statico e asfittico un movimento virtuale in cui tutto ciò che è solido svanisce nell’aria (Marshall Berman). Ad accusare la riscrittura di questi processi produttivi (e di qui sociali, culturali, collettivi) è la famigerata generazione Y, i millennials, i thirtysomething di oggi per i quali le aspettative e i desideri suscitati  e assorbiti dai modelli famigliari precedenti si schiantano solidamente contro i nuovi dettami del contemporaneo, che pretende da loro (da noi) flessibilità, adattabilità, impermanenza e performance costante. Il tutto, chiaro, col sorriso e l’entusiasmo sul volto. Ed è in quest’orizzonte di «aspettative radicalmente ridimensionate» che la metafora del loop temporale cambia segno sostituendo alla noia del certo l’ansia del virtuale: così arriviamo a Palm Springs, film Amazon che segna l’esordio di Max Barbakow ma che è soprattutto figlio di Andy Samberg, star televisiva del Saturday Night Live che lavora da anni sull’incertezza ontologica della generazione Y.

palm recensione

Perché è di incertezza e impossibilità di costruzione e realizzazione che parla Palm Springs, il cui loop temporale ben riflette quel senso di inconsistenza e sfiducia che attanaglia i trentenni di oggi, involontari protagonisti di un sistema neoliberista che scientemente risponde alle crisi del sistema disgregando certezze e prospettive. È l’eterno presente bellezza, un mondo in cui siamo circondati di impulsi digitali e confort tecnologici, informazioni compulsive e percezioni frammentate, in cui il tempo si livella normalizzando la narcotizzazione del desiderio e la depressione che soffoca ogni aspettativa di cambiamento. Perché sarà pure una rom-com dai toni brillanti e dalla narrazione sbrigativa, Palm Springs, un film che ruota su uno spunto estremamente valido ma che poi comunque ritorna con una certa pigrizia nelle maglie del genere, ma resta il fatto che nella sua narrazione a colori acidi e tempi (e volti) da sitcom televisiva traspare un ritratto accurato di una condizione esistenziale che è il risultato di un’incertezza sistemica. Non poter costruire nulla di solido diventa vivere l’esperienza di un giorno che si ripete sempre uguale a sé stesso, una giostra a cui il Nyles di Samberg reagisce disinnescando ogni aspettativa, ogni  desiderio profondo, adagiandosi su quell’orizzonte di piacere fatto di nichilismo a buon mercato e finto distacco per cui se nulla è reale che tutto sia lecito, tanto da qui non c’è salvezza, non c’è via d’uscita. I due protagonisti di Palm Springs vivono così una vita sterile che giornalmente resetta ogni cosa, appiattisce ogni sforzo, disgrega ogni conquista, lasciando posto a un edonismo fine a sé stesso in cui il consumo rischia di diventare l’unica azione capace di dare ancora un’identità permanente. Ma oltre questo, nella paura che ha Nyles di interrompere il loop nel momento in cui gliene viene data la possibilità, Palm Springs diventa anche il primo vero film di genere sul Lockdown; perché anche delle sbarre e dei limiti ci si può innamorare, devianza di una sindrome di Stoccolma che ci porta a desiderare che il nostro isolamento forzato perduri perché in questo modo restiamo a riparo dal mondo e dalla friabilità di quel che ci attende là fuori, dove costruire per farsi distruggere sembra diventare una legge di mercato.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 12/11/2020
USA 2020
Regia: Max Barbakow
Durata: 90 minuti

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