L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo

La caccia alle streghe di Hollywood in un'operetta morale piatta e accomodante

Nella chimica dell’agire umano ogni reazione chiama, in un modo o nell’altro, all’azione, e l’ottusa violenza perpetrata durante il periodo delle liste nere hollywoodiane non fa eccezione. Ecco così che nel pieno della caccia alle streghe, mentre McCarthy coltiva paranoia in televisione e John Wayne si fa baluardo contro le infiltrazioni comuniste sul grande schermo, alcuni dei migliori sceneggiatori del momento diventano il cuore di un florido mercato nero.

Niente alcol o sostanza proibite ma parole, spacciate e diffuse sotto falso nome attraverso gli ingranaggi ben oliati del cinema di serie B. L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo riesce in certi momenti ad essere il racconto intelligente di come gli scrittori esclusi dalle liste nere riuscirono a disinnescare dall’interno il meccanismo drammatico che li isolava dal lavoro e dalla società. Il film mette in scena un mercato di parole gestito come un’attività criminale, sovversione linguistica come mezzo per combattere le forme più invadenti e sbagliate del potere. Peccato però che l’opera di Jay Roach si accenda solamente a tratti, riportata troppo spesso al respiro cortissimo dell’operetta morale più facile e accomodante.

Roach sarebbe in teoria un nome da non sottovalutare, autore cinematografico di commedie più o meno risibili ma regista televisivo di ben altro livello. Sue due ricostruzioni politiche targate HBO notevoli per ritmo e rigore espressivo, Recount e Game Change, oltre che per un afflato progressista attento alle insidie più subdole del sistema politico americano. Di questo dittico Trumbo riprende evidentemente intenti e passione, ma quello che lì funzionava per asciuttezza stilistica e retorica qui diventa motore di una rappresentazione semplicistica attenta a dosare indignazione e intrattenimento, morale progressista e bozzetto comico. Il Trumbo di Bryan Cranston diventa così protagonista di una storia morale, familiare, politica, che poco o niente parla del potere preferendo piuttosto giocare con la resurrezione dello star system dell’epoca, da Kirk Douglas a Otto Preminger, John Wayne e Edgar G. Robinson (tutto surclassati dal Frank King di un sempre grande John Goodman).

Tutto nel film di Roach corre lungo binari solidi ma canonici, attentamente studiati per alternare risa e sdegno senza però che nulla appaia autenticamente disturbante, senza che si scenda mai a fondo nel racconto di quello che furono realmente le liste nere. Lo stesso Trumbo, istrionico milionario dall’impeto comunista, porta con sé delle contraddizioni che il film si limita appena ad accennare, attento a non affondare mai in nulla che rischi di turbare il tono leggero e brillante con cui si è scelto di sacrificare profondità di sguardo e riflessione sull\'altare di un’inattaccabile, piatta, piacevolezza.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 19/02/2016

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