La bella estate

di Laura Luchetti

Con sguardo gentile e delicato Laura Luchetti consolida la propria idea di cinema ribaltando un classico racconto di formazione al femminile.

la bella estate - recensione film luchetti

Nella Torino prebellica alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, la giovane Ginia, riunitasi con gli amici in riva al fiume, incrocia lo sguardo della bellissima Amelia mentre questa emerge dall’acqua come una ninfa moderna. Ginia, trasferitasi dalla campagna in città assieme al fratello Severino, con il comune progetto di migliorare la propria vita, è impiegata come sarta in un atelier di moda; Amelia fa invece un lavoro oscuro e scandaloso per l’epoca, si spoglia cioè di fronte agli uomini per essere da loro ritratta. L’incontro con la modella è per la protagonista un evento ricco di turbamento e fascinazione che dà voce a desideri e impulsi fino ad allora trattenuti nel fondo di sé.  

Tratto dall’omonimo romanzo breve di Cesare Pavese, La bella estate parte dal canovaccio iniziale per attuare uno spostamento dello sguardo agito sia sulla trama originaria che sui principali personaggi. Lo scrittore piemontese difatti delineava nel suo testo una storia di crescita, amicizia femminile e disillusione sentimentale tutto sommato piuttosto classica. La regista Laura Luchetti decide invece di sviluppare l’attrazione istintiva fra le due ragazze evolvendola in un nuovo racconto. Se la sarta ha il compito di vestire il corpo femminile, la modella al contrario lo sveste: aderendo al paradigma tradizionale dell’epoca che vede la donna oggetto passivo del desiderio, Ginia insegue Amelia nel suo mondo un po’ fuori le righe alla ricerca di quello sguardo amoroso, convenzionalmente maschile, da cui acquisire un riconoscimento che dia senso alla sua identità di persona. L’idea, nemmeno troppo celata, è quella di giungere lei stessa all’atto di spogliarsi – come donna desiderata, come modella ritratta – e in quel supino soggiacere agli occhi e alle mani altrui, scoprire finalmente sé stessa.

luchetti

È un percorso di ricerca che si fa però tortuoso e smarrito, perché l’assai ambito sguardo maschile si poggia sulla sua persona in modo tanto violento quanto superficiale, e dura non più dello spazio di tempo preteso dall’amore fisico. Il fratello Severino invece, cui spesso Ginia rivolge occhi scrutatori nell’intento di penetrarne l’inquietudine che lo allontana dai libri di studio, sfugge a sua volta all’indagine della sorella. In generale tutti gli uomini nel film sono imperscrutabili, sia nei loro silenzi che nelle risate sornione accompagnate da battute ambigue e dita leste e invadenti Sullo sfondo Amelia, apparente stereotipato modello di femminilità bello e sregolato, si ribella però al ruolo piatto e statico che società e cultura le attribuiscono, e si fa soggetto mobile che vede e tocca a sua volta: sono difatti i suoi occhi e le sue mani a riconoscere veramente Ginia, ed è nella sua carne perfetta che si nasconde la malattia che rivela l’indifferenza degli uomini e l’affetto sincero dell’amica. Non a caso è proprio Deva Cassel, figlia per eccellenza dello star system, a recitare questo parte facilmente fraintendibile per la sua fiducia nella propria straordinaria bellezza. I pregiudizi che pesano su Amelia sono i medesimi che gravano sulla sua interprete, che al contrario riesce a far intuire uno spessore maggiore di quanto i modi civettuoli del suo personaggio farebbero pensare.  

Mentre al limitare dell’inquadratura e della storia, come un qualcosa che si coglie solo con la coda dell’occhio, si muove silenzioso il fascismo, La bella estate risolve il conflitto interiore della sua protagonista, smarritasi nella propria ricerca interiore, offrendo un salvifico riposizionamento di soggetto e oggetto che suggerisce nuove modalità di sguardo e di esposizione di sé. Nell’incontro fra le due amiche, in un silente patto amoroso, si concretizza una conquista della propria identità che trascende finalmente i soliti schemi sentimentali. Al suo terzo lungometraggio l'approccio stilistico di Laura Luchetti si attesta oramai come una firma riconoscibile nella sua pacata gentilezza: gli occhi ingenui e lucenti della sua protagonista (Yile Vianello) bastano ad esprimere una visione di cinema altrettanto delicata e luminosa, come un’ultima fulgida estate di colori prima del buio della guerra. 

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 29/08/2023

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