Fiore gemello

di Laura Luchetti

Opera tenera e silenziosa su di un abbraccio di corpi in fuga dalla civiltà verso un'antica natura salvifica.

fiore gemello recensione film

Anna si allontana sempre di più da tutto e tutti. Fugge da qualcuno, evita gli spazi affollati. Basim tenta di avvicinarsi alle persone, vuole lavorare, viaggia alla ricerca di un posto dove vivere. Il primo incontro casuale fra i due è composto da questa danza di opposti che si completano: Basim si introduce nell’inquadratura per salvare Anna da due tipi molesti, Anna ne esce fuori e scappa via. Ma quando il ragazzo, una volta raggiuntala, capisce che lei, praticamente muta, non reagisce a nessun approccio, la saluta e si allontana. Solo allora, finalmente, Anna decide di entrare nell’inquadratura insieme a Basim, e fare insieme la stessa strada. Visivamente e no.

Fiore gemello costruisce tutto il rapporto fra i due protagonisti su questa metafora di due boccioli distinti ma uniti dal medesimo stelo: maschio/femmina, bianco/nero, italiano/straniero, in regola/clandestino, mutismo/parole, Anna che fugge via da qualcosa – da un uomo misterioso che la insegue – Basim che viaggia verso qualcosa. Eppure, una volta che si incontrano, i due ragazzi divengono parti dello stesso insieme. Parliamo di un film fatto di gesti e poche parole, quest’ultime perlopiù pronunciate in francese da Basim che è originario della Costa D’Avorio. La consuetudine di cenni e movimenti diviene pian piano una sorta di danza, un’armonia fisica creata dalla fiducia crescente fra Basim e Anna che imparano a ridere insieme, a scherzare, a guardarsi, fino a stringersi nell’abbraccio di due corpi oramai uniti oltre ogni differenza.

Il talento della regista Laura Luchetti sta nel saldare fermamente questa rappresentazione cosi tenera e delicata a un’ambiente e un paesaggio vivissimi, molteplici, dinamici. La natura, fatta di mari, spiagge, prati e boschi, insetti e uccelli, sole vivido e notti cristalline, avvolge in un parallelo e morbido abbraccio i personaggi, li accoglie in sé e li riconosce come propri elementi. Non a caso dunque ritorna l’assonanza metaforica con le piante, poiché Basim e Anna spuntano ripetutamente dall’inquadratura come fiori, i loro corpi e i loro gesti sono coesi con tutto ciò che li circonda, ed è a questo creato primordiale che sembra dirigersi il loro viaggio improvvisato.  Il mondo degli uomini, a confronto, pare vuoto, incoerente, crudele, destinato a corrompersi e cadere a pezzi come il vecchio edificio abbandonato dove i due ragazzi si rifugiano.

D’altra parte tutti gli altri personaggi di Fiore gemello sono uomini: comparse anonime, oppure vittime inerti e carnefici maneschi. L’antagonista del film è l’uomo con cui lavorava il padre di Anna, un individuo massiccio che si occupa di traffico clandestino di migranti e che vuole ritrovare la ragazza che gli è fuggita dopo il loro ultimo tragico incontro. Il suo è lo stato perenne di chi si identifica come straniero nel mondo e denuncia una solitudine che lo aliena dalla natura entro la quale invece i protagonisti si incastrano così bene, una natura benevola e salvifica che esso non sa riconoscere. Ecco allora che l’unica persona oltre a Basim che cerca di proteggere Anna è un fioraio (Giorgio Colangeli) che la fa lavorare in mezzo alle piante; gli altri uomini sono invece forieri di aggressioni e sfruttamenti che avvengono dentro le macchine, sui motorini, davanti ai supermercati, nascosti nei vicoli. Hanno divelto le proprie radici dal suolo, e sono divenuti bestie anziché flora.

Film intenso e delicato, che unisce la passione dello sguardo alla tenerezza del racconto, Fiore gemello è un’opera letteralmente da vedere perché la costruzione gentile di ogni sua inquadratura accarezza gli occhi dello spettatore e sa ispirare la visione di una – chissà - utopica ma istintiva connessione con la natura: non ideale arcadico ma una felice invenzione cinematografica.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 24/07/2019

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