Highwaymen - L'ultima imboscata

di John Lee Hancock

Il western più classico nell'era Netflix: Kevin Costner e Woody Harrelson a caccia di Bonnie & Clyde, in una visione alternativa del mito giovanile.

Highwaymen - recensione film Hancock

La prima bozza del copione di Highwaymen - L'ultima imboscata vedeva nientemeno che Robert Redford e Paul Newman come interpreti designati di Frank Hames e Maney Gault. Questo per rendersi conto da quanto tempo John Fusco (una carriera a tema tra Young Guns, Hidalgo e Spirit - Cavallo selvaggio) si portasse dietro la storia dei due Texas Ranger in pensione, chiamati nel maggio del 1934 a porre fine al killing spree di Bonnie Parker e Clyde Barrow. Il soggetto, comprato dalla Universal, finì accantonato per quasi due decenni prima di essere riscattato da Netflix. La casa di Los Gatos convocò Kevin Costner e Woody Harrelson come protagonisti, e affidò al mestierante John Lee Hancock la guida dell'operazione.

Highwaymen è un western. Non "spaghetti", non "post-", non "neo": western, nel senso più fordiano del termine.
La sua reincarnazione televisiva stupisce fino a un certo punto: cose come Godless e La Ballata di Buster Scruggs hanno già stabilito come la sfida alle sale portata avanti da Ted Sarandos e compagni stia passando anche per la colonizzazione del genere più classico e "cinematografico" di tutti. E grazie alla solida guida di un professionista come Hancock, mestierante del cinema più di sistema (The Blind Side, The Founder, Saving Mister Banks), il film fa ciò che deve fare: portare il vecchio western dei grandi divi e dei tempi lunghi nel catalogo colorato e giovanilistico del distributore.

La storia di Highwaymen - L'ultima imboscata riporta ancora una volta sullo schermo i giorni finali della Barrow Gang. Nel 1934, i ventenni Bonnie & Clyde attraversano gli stati del Sud americano spalleggiati da una banda di amici e parenti. Vengono da Dallas, Texas, negli anni della depressione e delle dust bowls che stanno rovinando gli agricoltori del Midwest. Rapinano banche, massacrano poliziotti e vivono come rockstar in fuga. Per il popolo della zona, impoverito e arrabbiato con fisco e governo, rappresentano degli eroi, il simbolo della ribellione violenta al sistema. Per lo Stato, sono l'incarnazione di un nichilismo anarcoide da distruggere. Di fronte all'impotenza degli organi principali, la governatrice texana Ma Ferguson (Kathy Bates) accetta a malincuore di spedire in missione segreta Frank Hames (Costner) e il suo compare Maney Gault (Harrelson). I due anziani sono tra i pochi reduci del vecchio corpo dei Texas Ranger: pistoleri e assassini al soldo del governo, ormai fuori tempo e fuori dal mondo. Starà a questi due relitti porre fine alla follia giovanile della banda, dimostrando la superiorità dei vecchi metodi sulle diavolerie spionistiche di Hoover e i suoi scagnozzi, e arrivando per primi alla leggendaria sparatoria del 23 maggio.

Highwaymen, è chiaro fin dal sunto, è interessante prima di tutto per la chiave di lettura che adotta. Hancock e Fusco scelgono infatti di raccontare il primo mito contestatario-giovanile americano da un punto di vista apparentemente opposto: quello dei "vecchi" cacciatori, ovviamente conservatori, idealisti e disgustati dall'edonismo omicida della banda. Al leggendario Gangster Story di Arthur Penn (godardiano, proto-sessantottesco e pioniere della New Hollywood), Highwaymen antepone una lettura eastwoodiana, sottilmente (ma neanche tanto) reazionaria e fondata su concetti di moralità molto più pragmatici. Il ribaltamento di prospettiva contrappone allora due visioni del mito di Bonnie & Clyde: mai inquadrati, sfuggenti e metafisici come un Moby Dick delle praterie, i due sono alternativamente degli eroi per il popolo invasato e irrazionale, e dei mostri per il "buon senso" del vecchio Ranger Hamer, insofferente a letture complesse e determinato a distruggerli in quanto giusto. Idea buona, ma sviluppata in una sola direzione: il film racconta questa contrapposizione dal punto di vista di Hames, sposandone evidentemente la visione e rifiutando di metterla in crisi. Lo scontro dialettico non avviene mai, e la chiave del tutto rimane più superficiale: Barrow e Parker sono due criminali, e in palio nella caccia all'uomo c'è solo la soddisfazione di fermare un nemico, e del dimostrarsi ancora una volta capaci di farlo.

Highwaymen - L'ultima imboscata è allora un film più rozzo di quanto forse potrebbe. La sua storia si riduce principalmente all'aggiornamento del topos (anche) western del vecchio eroe chiamato a "scendere in campo" un'ultima volta, confrontandosi con il tempo che è passato e con la mutazione del proprio ruolo. Il peso si sposta dunque sugli attori, e sulla capacità di Hancock nel valorizzarli. Da quel punto di vista il film non delude, e anzi si dimostra forse la migliore tra le opere recenti del regista. Se Harrelson va di maniera (occhi arrossati, parlata biascicata, sofferenza sopra le righe), è interessante studiare l'evoluzione del personaggio-Costner: da volto pulito e kennediano del western '80-'90, a raggrinzita e appesantita maschera dei vecchi valori in disfacimento. Facendo il paio con il recente Yellowstone di Taylor Sheridan, è un attore che sembra aver trovato la sua grandezza a sessant'anni, approdando peraltro ad un archetipo opposto a quello che lo lanciò. La regia lo accompagna, silenziosa e dolente, lungo le infinite highway dell'inseguimento, moderni sentieri selvaggi (Ford, appunto) dove braccare ancora una volta un nemico senza volto. Vecchi metodi, grande mestiere.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 08/04/2019

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