Passages

di Ira Sachs

Un film che celebra la Nouvelle vague per attraversarla e andare oltre, dentro relazioni che superano la composizione della coppia etero e monogama verso la seducente estetizzazione di un triangolo amoroso queer, tossico e radical chic.

Passages recensione film

«Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ingegnosa»
Walter Benjamin, I «passages» di Parigi volume primo

In una Parigi inafferrabile allo sguardo, il giovane regista tedesco Tomas (Franz Rogowski) sta girando un film. Nella scena successiva è insieme alla troupe e a suo marito Martin (Ben Whishaw), mentre tenta di divertirsi al party di fine riprese. Il film nel film, diretto dal protagonista, sembra essere costato parecchio stress a Tomas, che non riesce a coinvolgere il suo consorte nei festeggiamenti e finisce per passare la serata con Agathe (Adèle Exarchopoulos), una ragazza con la quale si ritrova a ballare per una lunga e seducente sequenza. Sin dall'incipit, carico di erotismo, prende forma una triangolazione amorosa dalle dinamiche tossiche fra i due coniugi e Agathe, dove Tomas è il motore, o meglio il regista, che dispone dei sentimenti e dei corpi dei suoi amanti per assecondare le sue smanie di controllo, tipiche di un narcisista patologico.

Passages è la seconda produzione europea di Ira Sachs dopo Frankie (2019), ed è anche il lungometraggio nel quale impiega tinte più vivide e pennellate più nette, sia nella regia che nella scrittura di una storia ricca di scene di sesso, mai superflue e sempre funzionali. Di fatto, nelle relazioni tossiche l’attrazione fisica è una delle armi utilizzate per manipolare, confondere e indurre il partner o la partner a sviluppare un rapporto disfunzionale, fatto di dipendenza affettiva e insincerità. Non solo il sesso, ma tutta l’estetica dell’ultimo lungometraggio di Sachs si manifesta con potente grazia, specialmente per la raffinatezza del linguaggio, dalle evidenti assonanze con Antoine Pialat e la Nouvelle vague di Jean-Luc Godard e Éric Rohmer. Anche le prove attoriali risultano determinanti per la riuscita di un lavoro senza sbavature, raffinato, capace di attraversare la grammatica di un cinema ormai lontano, rendendolo attuale e senza anacronismi.

Nei contenuti, Passages è un film contemporaneo; nella forma è immerso nella tradizione del cinema francese. I dialoghi degli amanti hanno come sfondo le tinte chiare delle camere da letto, illuminate dalla luce filtrata dalle finestre, dove Tomas cerca conforto. La natura dei loro discorsi, leggeri e nervosi, ricorda quelli di À bout de souffle (1960) e degli amanti clandestini di Romer in L'amour l'après-midi (1972). Ogni inquadratura è elegante, sobria e dalla composizione nitida a opera del direttore della fotografia Josée Deshaies. L’estetica delle immagini è esaltata dalla colonna sonora che varia dal folk al funky, fino a "La Marsigliese" free jazz di Albert Ayler.
La scrittura dei personaggi risulta densa, ma non didascalica. In ogni dialogo e scambio di sguardi emerge con naturalezza l’indole dei tre amanti parigini. Martin si occupa di arti grafiche, ha l’animo fragile e la corporatura esile; vorrebbe essere accudente ed è sinceramente innamorato. Tomas, pur essendo al centro della narrazione, non occupa tutta la scena e si rivela sofferente, sovversivo rispetto a ogni retaggio del passato e alla ricerca di uno spazio di azione che non troverà mai. Lo dimostra quando conosce i genitori di Agathe, i quali giudicano sintomo di inaffidabilità la sua natura bisessuale e le sue origini tedesche. Lei, pur essendo vittima della instabilità di Tomas, lo difende nelle questioni di principio e nei valori che con lui condivide. Risulta curioso notare come il personaggio di Agathe possa ricordare l’evoluzione di quello di Adèle in La vita di Adele (2013), interpretato dalla stessa e omonima attrice. Entrambi i personaggi sono semplici e seducenti: sia Agathe che Adèle fanno le maestre e sono alla ricerca spasmodica di amore e passione. Sia Agathe che Adèle sembrano succubi di chi dice di amarle, ma Agathe manifesta una maggior maturità e distacco rispetto ad Adèle.

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Martin e Agathe parlano in inglese con il tedesco Tomas. Lui dice qualche parola in francese, ma non è a causa della lingua che comunicare risulta complesso. Il problema maggiore è dato dal contesto in cui è ambientata la loro storia d’amore, ovvero quello della fine della modernità. Non a caso il film è intitolato Passages prendendo il nome di ciò che il filosofo Walter Benjamin definiva come il monumento ai fantasmi della cultura borghese capitalista di fine ottocento. I passages parigini erano i precursori dei centri commerciali e raccontano di un mondo in cui l’esplosività del sorgere della modernità ha pervaso ogni aspetto della vita dell’uomo. L’avanzare della cultura mediale (l’avvento della fotografia e del cinema), il processo di massificazione e il capitalismo industriale hanno modificato inesorabilmente le modalità del sentire in ogni sua forma. Perciò, modernità è sinonimo di choc. Secondo Benjamin, le masse atrofizzate da continui stimoli invasivi sono ridotte a folle di sonnambuli, pervasi dalla fantasmagoria delle merci esposte nelle vetrine dei passages e delle prime esposizioni universali. Vagano come flâneur tra i monumenti alla modernità, decaduti prima ancora di essere stati eretti.
Anche Tomas sfreccia per le strade di Parigi come un flâneur contemporaneo sulla sua bicicletta, correndo da un amante all’altro, da un fallimento all’altro, inseguito dalla camera con veloci carrellate. Martin e Agathe invece restano nei loro ambienti, quasi ne fossero intrappolati. Loro non hanno cambiato paese, né hanno rimesso in discussione il loro orientamento sessuale. Non si muovono compulsivamente per la città, ma restano nei binari delle loro professioni, delle loro abitudini e dei loro principi, per uscirne solo quando cedono al regista delle loro vite, ovvero l’insaziabile Tomas. Verso il finale, tra i sopravvissuti si instaura un rapporto di solidarietà, lasciando che i veleni rimangano a chi ne dispone.

I protagonisti si muovono in un contesto privilegiato, siedono al tavolo dei ristoranti più cool di Parigi, incontrando intellettuali e artisti della scena metropolitana. Abitano in case raffinate, ma dal gusto decadente; indossano abiti eccentrici, all’apparenza poco costosi. Sembra che siano disposti a superare le rigidità delle relazioni monogame e che possano spingersi alla sperimentazione del poliamore, ma in realtà Tomas, Agathe e Martin non sanno come gestire la libertà a cui aspirano. Tentano di andare oltre la “gabbia” dei rapporti di coppia eteronormati, ma come in una sorta di Jules e Jim (1962) queer del ventunesimo secolo, falliscono.

Con Passages la prospettiva del precedente Love Is Strange (2014), ovvero la lunga storia d’amore newyorkese dei protagonisti Ben e George, è ribaltata e superata per mostrare una complessità relazionale che potrebbe essere sintomatica dei nostri giorni, pur senza esprimere giudizi. Ira Sachs ha lavorato al suo ultimo film come se non avesse nulla di definitivo da dire con le parole, ma tanto da mostrare attraverso le immagini, composte secondo la sua interpretazione dei passages parigini nel mondo contemporaneo, senza pretendere di sapere cosa sia giusto o sbagliato nelle relazioni amorose.

Autore: Irene Frau
Pubblicato il 31/01/2024
Francia 2013
Regia: Ira Sachs
Durata: 92 minuti

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