Generazione Low Cost
La vita di Cassandre: l’impassibilità della hostess contro l’emozione nel volto di Adele.
Il titolo originale Rien à foutre significa “me ne frego”, o meglio l’espressione sarebbe un po’ più forte: me ne fotto. Perché questo è il motto di Cassandre (Adèle Exarchopoulos), la protagonista di Generazione Low Cost, pessimo titolo italiano del film di Emmanuel Marre e Julie Lecoustre. Una che se ne frega, appunto: fa la hostess in una compagnia aerea a basso costo, che ha un altro nome ma è la riscrittura della Ryanair, oppure di qualsiasi low cost nel mondo. E Cassandre sulle app di dating si chiama Carpe Diem: coglie l’attimo, ovvero consuma rapporti occasionali da uno Stato all’altro, sempre in movimento, trattenendosi per poche ore, ma sempre in un Paese “minore”, scontato, visto che la sua azienda non è abbastanza ricca da inviarla nelle mete esotiche che restano una fantasticheria. Nei frammenti tra un viaggio e l’altro Cassandre esce coi colleghi, unici rapporti umani, si sballa e ubriaca ma deve stare attenta, il consumo di alcool prima del volo non è ammesso.
È una ragazza di oggi Cassandre, una di noi: vive nella precarietà del contemporaneo, senza terra sotto i piedi, letteralmente, e tutto ciò viene dato per scontato, introiettato, è così ben prima dell’inizio del racconto. Lo spirito del tempo lo impone. Nello zeitgeist incerto del presente Cassandre si è già calata, dinanzi alla privazione della stabilità come reazione teorizza e pratica il suo “me ne frego”. Una risposta obbligata a quello che siamo, un riflesso pavloviano al mondo intorno: non c’è un’altra possibilità e allora tanto vale postulare l’incertezza, cercare di darle un senso, racchiuderla nel motto menefreghista che viene cucito intorno. Solo qui può tenere l’allusione generazionale del titolo italiano: è un’esponente della generazione me ne frego, che non conosce il posto fisso, la certezza dei diritti né l’opportunità di programmare un futuro anche prossimo. Può saltare un Natale, non sa dove sarà domani.
Ma Cassandre è soprattutto Cassandre. Un’affermazione ovvia che di fatto costruisce la potenza del film: seppure il racconto sia interpretabile in senso lavoristico (ci sono altre come lei), qui non troviamo per forza un’apertura all’universale, una metafora complessiva, ma c’è soprattutto l’affresco di un singolo personaggio. Di lei. Non a caso Cassandre è interpretata da Adèle Exarchopoulos, l’attrice ora ventottenne esplosa con La vita di Adele, una scelta chiara e riconoscibile: dal capolavoro di Kechiche questo film si porta dietro il naturalismo scritto nel suo viso, dolente e illeggibile, una gamma complessa di emozioni mai sciolta del tutto. “La misteriosa debolezza del volto umano”, la chiamava Léa Seydoux citando Sartre. Lo sanno bene i registi di Rien à foutre che interrogano continuamente il volto, sondano il suo amore e dolore, insomma l’emozione, trovando il culmine struggente nella sequenza del provino con sguardo in macchina, in cui Cassandre deve restare impassibile ma gradualmente si apre alle lacrime. Gli autori installano sullo schermo il dipinto New York Movie di Edward Hopper, che mostra una maschera persa in pensieri profondi, a cui si sono ispirati. Così il contrasto tra l’apatia della hostess e il viso di Adele è a tratti lancinante.
La giovane infatti soffre di un trauma primario: la scomparsa della madre, morta in un tragico incidente, che l’ha allontanata dal padre e dalla sorella, usando come scudo proprio il suo lavoro tra le nuvole che offre l’alibi della lontananza, della precarietà come antidoto alla sofferenza. Ecco che il film, pur inscenando le condizioni delle hostess, non è solo un film sul lavoro: da una parte c’è l’ennesima degenerazione del mercato, che impone la rinuncia alla singolarità in favore dell’impassibilità, obbligatoria per una hostess che non può provare emozioni, deve sorridere e vendere. Dall’altra, e per antitesi, si insinua una profonda umanità che emerge progressivamente, portando Cassandre a fare i conti col rimosso e ricongiungersi coi propri cari. Ma non per questo esce dalla precarietà: fa un passo avanti in carriera e si ritrova a Dubai, ormai nell’apocalisse Covid, munita di mascherina. Proprio quella mascherina si toglie brevemente per una storia su Instagram, nella magnifica auto-ripresa finale, un video selfie che dice tutto del presente. E anche di Cassandre, donna incerta in un tempo incerto, forse più consapevole ma ancora in volo, sempre allo stato gassoso.