Aftersun

di Charlotte Wells

Opera struggente e nostalgica dalle cui immagini esorbitano dolorosi non detti, gesti mancati, in un racconto potente sulla forza del rimpianto.

Aftersun - recensione film mubi

Aftersun si apre come enigma proposto allo spettatore: cosa ci sta raccontando di preciso?
A prima vista è la storia quasi banale della vacanza di un padre e della figlia undicenne in Grecia. La visione dei nastri registrati con la videocamera durante il viaggio sottintende un certo senso malinconico: la ragazzina non vede spesso il padre, che non sta più con la madre, e c’è il rischio di allontanarsi e non capirsi più. Lei stessa sta già crescendo e si tende incuriosita verso l’età dell’adolescenza, i ragazzi più grandi costituiscono l’oggetto delle sue silenziose osservazioni alla ricerca di un modello sentimentale da perseguire. Man mano che il film di Charlotte Wells prosegue però la temperatura emotiva sale prima impercettibilmente e poi, quasi premendo contro i margini dell’immagine, trasmette forti cariche di dolore. Aftersun non è, malgrado l’apparente semplicità degli eventi, un racconto tenuamente nostalgico, ma un’opera sofferente nella distanza inevitabile fra ciò che ci rimane delle cose – ricordi, ricostruzioni mentali– e le cose stesse. 

Le immagini sono per natura opache e porose. Resistono al tentativo di penetrarle definitivamente, così da lasciare un senso costante di non risolto o espresso, ma accettano altri significati ideali, metafore, didascalie. Nel film gli oggetti, le frasi, i dettagli sono indizi per ricostruire, oltre la banalità del quotidiano, la storia che si sta svolgendo innanzi. Vari livelli visivi definiscono lo stile narrativo: il viaggio, i video registrati, un tempo a loro posteriore e una visione talmente onirica da suggerire una dimensione dell'inconscio. Rapidamente si intuisce la presenza di un altro spettatore che osserva tornando al passato in una comune ricerca di senso.

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Tutto in effetti, anche le piccolezze, si carica di significato e di un potenziale, devastante sentimento di rimpianto. Calum e Sophie hanno solo vent’anni di differenza, sono scambiati per fratello e sorella. La figlia si volge ancora verso il padre con un sentimento di ingenuo affetto giovanile, e si ritrova talvolta smarrita di fronte ai suoi improvvisi, brevi momenti di chiusura. C’è qualcosa di rotto in lui, e in effetti ha un braccio ingessato, fratturato senza un perché chiaro, e con una certa determinazione si pone il proposito di “formare” la figlia verso i pericoli della vita: deve imparare a difendersi dalle aggressioni fisiche, mantenere piena trasparenza rispetto ai suoi futuri exploit adolescenziali nella droga, rendere produttivo ogni giorno. Tutte cose chiaramente vissute in modo problematico dall’uomo soggetto a stati depressivi nascosti nei silenzi, nel negarsi alla condivisione, qualche birra di troppo, segreti brevi cedimenti alla disperazione. La vita vissuta sembra già troppa – non pensavo di arrivare a trent’anni, confessa – e già colma di rimpianti, sostanziali fallimenti amorosi e lavorativi. Calum si piega sotto il peso del tempo dell’esistenza, e si rianima negli istanti dove si concentra sul presente: il nuoto con la figlia, la contemplazione di un tappeto, la fuga per le strade del paese. L’amore per Sophie è profondo ma segnato da un crescente senso di angoscia e muto senso di colpa, la ricerca di un equilibrio nel vivere si incrina in minuscole schegge di inquietudine. 

Nel suo svolgersi la storia di Aftersun si espande in cerchi concentrici, assume il senso di una ricerca che è ritorno a ciò che è stato perduto, per elaborare nelle stanze della mente e del sogno un impossibile abbraccio definitivo: this is our last dance, canta David Bowie, dirsi addio, esprimere il taciuto in una stretta finale prima di essere strappati via dagli eventi. Il momento in cui le persone diventano soli ricordi, non più presenze reali, è quello in cui ciò che rimane a chi resta è l’atto di conservare le immagini - reali e mentali – rianimarle col proprio spirito, gravarle della nostalgia che la loro intangibilità produce.
Charlotte Wells realizza un’opera dove l’autobiografia personale si mischia a un lavoro collettivo su immagine, suono e montaggio per raggiungere un senso ultimo di chiusura, (im)possibile risoluzione adulta del passato. Assegnare cioè alle persone amate una stanza della memoria dove le accolga il ricordo più forte di loro: un luogo della mente dove ballare e ballare, in un’ultima danza quasi eterna.  

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 06/02/2023
Regno Unito, Stati Uniti 2022
Durata: 102 minuti

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