Boston - Caccia all'uomo

In Boston-Caccia all'uomo, Mark Wahlberg riconferma l'importanza del fattore umano e del residuo classico nelle schegge impazzite del cinema americano contemporaneo.

Nella Boston del 1975, la vita di tre ragazzini sarebbe cambiata per sempre in seguito al rapimento di uno di loro da parte di due uomini, apparentemente un poliziotto ed un sacerdote. Il ragazzino sarebbe stato violentato per tre giorni riuscendo, infine, a fuggire e a tornare a casa. 25 anni dopo, in una progressione kinghiana, la tragedia si sarebbe risvegliata dal torpore, abbracciando nuovamente, come un oscuro spettro, la cittadina bagnata dal fiume Mystic. E la frase pronunciata da Dave Boyle/Tim Robbins («Io non mi fido più nemmeno della mia mente, Celeste. Devo avvertirti») ha una parentela più o meno diretta con l’affermazione di Tommy Saunders/Mark Wahlberg («Non riesco a capire, non so cosa ho visto, ma quelle immagini non se ne vogliono andare dalla mia testa») in una Boston meno persa nei suoi voluttuosi gorghi e nella critica al potere ufficiale ma più schematica e lineare, quasi come fosse un circuito elettrico di manniana memoria.

15 Aprile 2013. Una serie di esplosioni getta nel caos la tradizionale maratona del Patriots Day, causando la morte di 3 persone ed il ferimento di altre 264. Il clima festivo è interrotto dall’ipotesi terroristica e dalla rapida diffusione di immagini e video sull’attentato. FBI e polizia locale conducono le indagini contando sulle riprese delle videocamere di sorveglianza e su ogni tipologia di dispositivo mediale.

L’immersione nell’incubo segue il binario dell’avvicinamento lento ed inesorabile, attraverso una serie di voci fuori campo (prima ancora di vedere, ascoltiamo) in occasione dell’irruzione della polizia in un appartamento. Mark Wahlberg incarna la classica figura del poliziotto/sorvegliante dal passato traumatico che ha tanto caratterizzato il cinema americano di genere, da Il braccio violento della legge a La conversazione. Il paragone con Gene Hackman non è casuale. Anche Wahlberg, infatti, è un everyday man alle prese con eventi ben più grandi di lui. A differenza, tuttavia, del tipico carattere interpretato dall’attore sopracitato teso a scardinare l’ipocrisia delle istituzioni americane, il personaggio di Wahlberg ha fiducia in esse e crede che fare il proprio dovere sia indispensabile per salvare dalla barbarie. Il caos, in questo contesto, giunge dall’esterno ed è incarnato dalle immagini virali fuori da ogni controllo e riprodotte dai media nell’arco delle 100 ore successive all’attentato.

La narrazione che si era sviluppata a partire da una prosaicità di situazioni (la presentazione dei vari personaggi nelle loro azioni quotidiane, tra risvegli intimi ed etica del lavoro) subisce un cortocircuito che ne intacca il centro, sotto la spinta di un attacco labirintico che sporca le immagini e la loro configurazione.

Per Peter Berg, il superamento dell’evento traumatico può essere garantito solo dalla forza dei legami sociali. Sono i volti, i desideri, il lavoro di gruppo (portato avanti da attori della vecchia guardia come John Goodman, Kevin Bacon a far da traghettatore, J.K. Simmons e la Michelle Monaghan del seminale Eagle Eye) ed i sentimenti delle persone coinvolte a contenere la globalità dell’evento. I dubbi insinuati nei protagonisti (che non appaiono mai come eroi senza macchia), alle prese con evidenti difficoltà nella gestione del loro sguardo (come la tempesta di sabbia che restituiva un Chris Kyle tutt’altro che eroico), gli abbracci e le lacrime sono deputate alla ricerca del fattore umano e dell’elemento analogico nella proliferazione dei video incriminati. In tal senso, il centro di comando/occhio di Dio è quel centro di un labirinto in cui soltanto l’occhio umano è in grado di orientarsi e di effettuare un montaggio dei molteplici punti di vista per inseguire i cattivi della vicenda.

Boston-Caccia all’uomo è l’ennesima dimostrazione che il nuovo cinema digitale non può fare a meno di un’organizzazione classica del racconto che, per quanto messa in crisi da deflagrazioni che ne frammentano l’esistenza, ha negli uomini e nei loro desideri il cuore del proprio statuto. In territori adiacenti, quindi, al fattore umano di Clint Eastwood.

Autore: Matteo Marescalco
Pubblicato il 21/04/2017

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