La vita invisibile di Eurídice Gusmão

di Karim Aïnouz

Vincitore a Cannes 2019 nella sezione "Un Certain Regard”, ora su MUBI, il film di Karim Aïnouz è un racconto intenso e immersivo ma anche una dura riflessione sulla condizione femminile.

La vita invisibile di Euridice Gusmao PointBlank recensione

Karim Aïnouz, brasiliano di origini algerine, già autore di diversi documentari e del film di fiction Praia do Futuro (2014), realizza con La vita invisibile di Eurídice Gusmão un’opera solida e corposa, densa e coinvolgente, in cui lo spettatore si immerge senza possibilità di ritorno come in un mare ondoso che insieme culla e avviluppa. Tratto dal romanzo di Martha Batalha A vida invisível, il film racconta le vite indissolubilmente intrecciate eppure irrimediabilmente distanti di due giovani sorelle nella Rio de Janeiro degli anni ’50.

Guida e Eurídice sono letteralmente prigioniere di un padre tirannico e inflessibile, amate da una madre troppo indulgente e sottomessa all’autorità del marito. Dal momento che la conciliazione non è possibile, le strade da percorrere sono soltanto due, distinte e parallele, destinate a non convergere mai: la ribellione o la sottomissione. Guida, che con un marinaio greco conosce l’amore, scapperà di casa durante la notte per un breve incontro che si trasformerà poi in una fuga dalla quale il ritorno non sarà ammissibile. Eurídice, disperata e sconvolta per l’assenza improvvisa e paralizzante della sorella tanto amata, cederà alle imposizioni paterne subendo, come una condanna senza scampo, un matrimonio con un uomo che non desidera.
I continui e disperati tentativi di ritrovarsi messi in atto dalle due sorelle, attraverso gli anni e i continenti, saranno vanificati con sadica e arguta tenacia tanto da parte dei genitori quanto da parte del marito di Eurídice, Antenor, novello patriarca, erede dei “poteri” del suocero. Perché Guida, che con la sua fuga ha disonorato irrimediabilmente la famiglia, ora va punita e nascosta, respinta, cancellata.

Il film di Aïnouz si fonda su un equilibrio per nulla scontato, che riesce, con grande potenza espressiva, a conciliare due piani di indagine differenti: da un lato quello dell’analisi sociale, e in questo senso anche politica, perché pochi film come questo riescono a mettere a nudo con tale naturalezza – senza “tesi”, senza rigidità, senza schemi in qualche modo – la questione femminile intesa in senso lato, ma descritta nelle sue sfaccettature e nella sua complessità; dall’altro lato, c’è il gusto narrativo puro e romanzesco dell’invenzione, della vicenda paradossale e incredibile (eppure non impossibile!) che, pur essendo tale, non toglie mai verosimiglianza alla descrizione degli eventi.
Questo senso di verosimiglianza si nutre di una messa in scena perfettamente aderente alla realtà, al quotidiano, agli spazi e ai corpi - eccezionali le due attrici protagoniste, Carol Duarte e Júlia Stockler. Quello di Aïnouz è un film che trasuda luce, odori, sentimenti: un film in cui si sente sulla pelle il caldo che sfianca, il disgusto per il corpo dell’altro non desiderato, lo spavento, la solitudine, soprattutto il senso di oppressione senza fine di un orizzonte che schiaccia e al quale tuttavia bisogna sempre, costantemente, opporre resistenza, per continuare a respirare.

Il punto di forza dell’analisi del regista è la sua visione che, pur carica di pathos, riesce ad essere al contempo sorprendentemente lucida, quasi distaccata: perché il padre Manoel e il marito Antenor non sono mai descritti come spaventosi mostri, ovvero come anomalie degenerate di un sistema fallace, ma al contrario incarnano la norma, la messa in atto “pacifica” e istintiva, ovvia, non ponderata, di un sistema di pensiero fondato sulla coercizione e nel quale però questa coercizione è talmente radicata da farsi invisibile a chi la opera. Come, soprattutto, invisibili sono le vite delle due sorelle, in quanto donne: i loro corpi – nel sesso (nello stupro), nel parto – non appartengono loro; ogni gesto, ogni segno che le individui nella loro singolarità deve essere irrimediabilmente azzerato – l’amore per un uomo, nel caso di Guida – o neutralizzato – l’amore per il pianoforte nel caso di Euridice, accettato come passatempo entro le mura domestiche, condannato aspramente come possibilità concreta di studio e carriera.

A dimostrazione che l’abuso e la costrizione non sono aberrazioni dei singoli ma modus operandi di una certa dimensione culturale, ci sono poi i personaggi di contorno: le donne più adulte, che qua e là “spiegano” alle protagoniste cosa aspettarsi (dal matrimonio, ad esempio) e tutti gli altri uomini che le circondano, per i quali il corpo femminile può essere merce e la condizione della donna è una debolezza congenita intrinseca che la società riconosce e identifica come tale, e della quale è automatico approfittarsi. Aïnouz non enfatizza, non mistifica, non sovraccarica le vessazioni descritte, anzi le riconduce appunto nella sfera della più banale ovvietà: e in questo modo non si limita a mettere in scena una serie di fatti contingenti, ma riesce con onestà e limpidezza a descrivere un sistema di pensiero, che travalica perfino il genere e la classe sociale.
Nonostante ciò, il fulcro del film non è (solo) in questo: non nell’odio, non nel dolore ma al contrario, nel sentimento profondissimo e inscalfibile di solidarietà, fiducia e affetto che lega le due sorelle, un sentimento impossibile da inquinare e corrompere.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 07/06/2022
Brasile, 2019
Regia: Karim Aïnouz
Durata: 139 minuti

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