La serie Marvel/Disney affronta con coraggio i residui immaginifici dell’America di Trump ma non affonda mai davvero il colpo, insicura, forse, delle potenzialità militanti applicate alla forma Blockbuster.
La prima serie Marvel per Disney+, al di là della straordinaria cura realizzativa, ha paura di allontanarsi dalle convenzioni e risulta più attenta ad allargare il target dell’MCU che ad abbracciare il suo apparente sperimentalismo.
La serie weird ideata da Misha Green inverte i rapporti di forza e si riappropria di un genere spesso poco inclusivo, affermandosi come uno degli show più ambiziosi e innovativi del 2020.
La serie Netflix prova a ricostruire il rapporto tra oggettività e inchiesta giornalistica proponendo al contempo una terza, originale via per rapportarsi alla dimensione digitale, tra la materialità e la completa adesione all’infosfera.
Con la sua seconda stagione, la serie Disney di Dave Filoni e Jon Favreau arriva a un primo stadio di maturazione e riesce a trovare la sintesi perfetta tra tradizione e linguaggi del contemporaneo.
In una serie fortemente personale e autoriale, Michaela Coel tematizza l’esperienza dello stupro e utilizza l’auto-narrazione come strumento psicanalitico di catarsi ed emancipazione.
Mix perfetto e geniale di elementi vincenti, la nuova miniserie di Netflix conquista tutti coniugando un'irresistibile storia di formazione con l'oggetto misterioso e affascinante del gioco degli scacchi.
Attraverso la miniserie SKY-HBO Guadagnino ripensa alla dimensione critica della sua immagine e cerca un punto di inizio per raccontare l'identità oltre le definizioni dell'inquadratura.
La serie docu-crime dal successo planetario è soprattutto una fotografia in filigrana dell’America schizofrenica trumpiana, mai come ora così incapace di riallacciarsi alla realtà, mai così avvitata in un solipsismo sinistro.