Submergence

di Wim Wenders

Credere ancora nel cinema di Wim Wenders, anche quando "sbaglia", anche quando "non funziona".

Submergence - recensione film wenders

C’è qualcosa, del cinema di Wim Wenders, che continua a stupire, perfino a commuovere, una misteriosa trasparenza  fuori tempo di questo cinema, una fede nel racconto del mondo, anche se il mondo sembra aver smarrito ogni senso plausibile, possibile, determinato. Quasi più nessuno crede in Wenders, ormai. Da molto. Wenders come «guru vieppiù convinto del proprio ruolo». «Un cinema che compiace, un cinema che fa sembrare intelligente e sensibile un pubblico di mediocri e colti benestanti, un cinema che è insieme scaltro e riduttivo e quasi sempre kitsch». Ecco, Fofi almeno, anni fa, la metteva in questi termini.  Oggi, spesso, il regista tedesco ha la volatilità di un post, è una battuta rapida, un’irrisione social (dunque brillante). Eppure, è difficile trovare qualcosa che assomigli alla verità che questo autore, ancora, anche nella sue involuzioni, nelle intuizioni e negli approdi meno esaltanti, continua a coltivare: una verità che può non coincidere con la credibilità, né ha pretese assolute o tantomeno assolutorie, piuttosto è una verità ideale, una verità in progress, sensibile, imperfetta, desiderabile. Submergence (era al Festival di Toronto 2017 e in pochi si sono accorti del suo passaggio nelle sale in Italia ad agosto di quest’anno) da tale punto di vista è emblematico. 

Tratto dall’omonimo romanzo di J.M. Ledgard, il film fa dei suoi due protagonisti i vettori di questa ricerca, affida tutto – anche quello che allo spettatore non è dato sapere –  al loro amore che circola nel tempo e nello spazio e al ricordo che pulsa costante, che consente loro di non capitolare. Una biomatematica ossessionata dai fondali oceanici, dalla vita senza luce, lei; lui, uomo dell’intelligence britannica. In Normandia, sulla spiaggia, si innamorano in un niente. Lui poi parte per la Somalia, lei per un’importante operazione sottomarina. James verrà catturato dai fondamentalisti islamici; Danielle arriverà in profondità. 

Un film insieme freddo e caldo, diviso tra una parte e l’altra, tra un prima e un dopo, unione e separazione tra lei e lui, tra la profondità e le superficie, l’acqua e la terra, il buio e la luce, lo spazio profondo e un’Africa tremenda, tra Alicia Vikander e James McAvoy. Un film che si alimenta di mélo e thriller sul filo perenne del pensiero, del ricordo che ricama il dettaglio, la parola, gli sguardi, la vicinanza e la perdita. Opera produttivamente pensata per il grande mercato, mentre l’occhio e la memoria ritornano per alcuni istanti a Jean Vigo;  film che si potrebbe vedere anche a ritroso, dalla fine all’inizio; che attraverso l’amore non terminato chiede al mondo di sottrarsi alla catastrofe. È un film che è fragile e stucchevole insieme, tanto collocabile, identificabile, quanto ingenuamente “scoperto”, rinchiuso in un “illusione” che si affida ai suoi personaggi senza bleffare mai, in un “come se” continuo, fluido: come se i personaggi potessero in ogni inquadratura auto-descriversi pienamente, attribuirsi sempre senso, colmare lacune, occupare il tempo, lo spazio, il sentimento, il loro, quello del mondo, quello del film.  Come se il cinema potesse bastare, sempre, anche quando in sommersione, in submergence appunto, portandosi dietro, dentro, al fondo, ogni traiettoria, ogni percezione, ogni gioco di riflessi, di scrittura, di montaggio, di porzione del mondo. Ecco, Submergence è l’evidente verità ideale, oggi, di Wenders, e ci dice che il cinema, anche quando “non funziona”, anche quando sbaglia, forse ha visto qualcosa che non abbiamo visto noi.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 17/09/2019
Germania, Francia, Spagna, USA 2017
Regia: Wim Wenders
Durata: 112 minuti

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