Tutte le storie di Piera

Il pericolo dei documentari monografici è solitamente quello di una celebrazione monotona che, a meno che non sia pienamente condivisa dallo spettatore, nulla regala di più se non un indifferenziato encomio che lascia freddi e annoiati. Peter Marcias, forse consapevole di questo rischio, evita il genere documentario nella sua forma specificatamente biografia e si dedica, in Tutte le storie di Piera, basato sulla vita e la carriera di Piera Degli Esposti, a rincorrere un sentimento, un’emozione che possa descrivere un’esistenza meglio di date e avvenimenti messi uno accanto all’altro a farne un riassunto scolastico.

Così, ecco Piera Degli Esposti, una voce narrante strabordante e talvolta perfino balbuziente nel tentativo di trovare la frase giusta, una donna che ha dovuto plasmare se stessa partendo dal confronto con un’amatissima madre maniaca depressiva, esagitata e periodicamente soggetta a ricoveri e elettroshock; di fronte a questa congenita instabilità presente nel suo stesso sangue, la giovane figlia ha ricercato l’equilibrio nella disciplina di corpo e mente che è la recitazione, assoggettando la propria irrequietezza al lavoro quotidiano di modellamento della propria vitalità. Di quella esuberanza è rimasta un’ironia vivissima che fa dell’attrice una personalità esilarante, quasi comica nel raccontare i piccoli ricordi del proprio passato, dai primi rifiuti del mondo del teatro agli incontri con le amiche di una vita, da Dacia Maraini a Lina Wertmüller. Non c’è un filo logico nella narrazione, solo aneddoti affastellati a disegnare una costellazione di volti amati, come la faccia imperiosa e il vocione profondo di Marco Ferreri che adattò sul grande schermo la sua biografia, Storia di Piera, e che la affascinò con la sua prepotente fisicità, costruendo una silenziosa storia d’amore di cui solo adesso, timidamente, a vent’anni dalla scomparsa del regista, la donna ha deciso di parlare, senza peraltro entrare troppo nei particolari, per lasciar solo trapelare il sentimento; e poi le testimonianze di chi l’ha diretta e l’ha amata, dai fratelli Taviani a Giuseppe Tornatore, da Marco Bellocchio a Paolo Sorrentino, tutti concordi nel descrivere una professionista seria, profondamente umile, e nella propria eccellenza attoriale bisognosa dell’affetto e del contatto umano con i propri colleghi.

Ma, si diceva sopra, gli eloqui lasciano il tempo che trovano, e a non molto servirebbe un documentario se il suo intento fosse quello di confermare una bravura già convalidata da una carriera teatrale, cinematografica – e ultimamente anche televisiva – di primo livello. Quel che invece Tutte le storie di Piera regala, e in questo si autentica come opera sensibile e delicata, è una tavolozza di emozioni raccolte confusamente e consegnate, così, nude e brillanti, allo sguardo dello spettatore: il calore bruciante di una Piera Degli Esposti spaventata e coraggiosa che si costringe a recitare di fronte a Eduardo De Filippo giunto improvvisamente a teatro per vederla, il disordine ilare della quotidianità tramutato in meticolosa passione sul palco e il sogno ancora irrealizzato di interpretare Riccardo III, con la sua gobba, la sua violenza e la sua inaspettata vulnerabilità. Forse non si apprenderà molto degli snodi cruciali della sua carriera – quando debuttò con x, quando recitò con y – né delle sue relazioni personali, gli amori, i figli mancati, ma se scopo di un documentario è la conoscenza, allora il film di Peter Marcias riesce egregiamente nel suo intento, donandoci una figura di donna indimenticabile, e la preziosa curiosità di scoprire ancora altro su di lei, sulla sua tenera, sovversiva fame di vita, cercando indietro nelle sue interpretazioni l’impronta di questa capacità di filtrare nell’arte il proprio fuoco.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 09/08/2014

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