Star Wars - Il risveglio della Forza

I freddi algoritmi del calcolo finanziario e l'ironia dissacrante fanno di questo Episodio VII un reboot de facto che rilancia la saga ma perde per strada epica ed emozione.

“E’ tutto vero: il Lato Oscuro, i Jedi, sono reali”.

Con la consapevolezza estrema che da sempre lo contraddistingue, J.J. Abrams affida proprio a Han Solo la battuta più esplicita del suo Star Wars: Il risveglio della Forza. Il vecchio Harrison Ford, tornato perfettamente nei panni che lo consegnarono alla storia del cinema, rassicura così la giovane Rey e con lei noi spettatori, tanto coloro che hanno conosciuto la Forza durante la loro infanzia quanto chi è al suo primo Episodio visto al cinema. Episodio che ingloba al centro della sua narrazione un’interrogazione sul mito, sull’icona, sulla leggenda di un tempo che sembra sempre più lontano. Dopo tutto il merchandising, le acquisizioni, gli anni trascorsi, possiamo ancora credere alla Forza? Lo spettatore smaliziato e social di oggi può (ri)scoprire la magia e sentirsi di nuovo a casa?

Per rispondere a questa sfida Il risveglio della Forza gioca moltissimo sul ruolo dell’icona dentro e fuori dallo schermo, tanto nei nostri occhi quanto in quelli di personaggi commossi dal poter incontrare e combattere assieme alle leggende di un tempo. Ancora di più, la chiave per la riscoperta dell’emozione e il ritorno al mito ci vengono offerti a livello narrativo da una compenetrazione di vecchio e nuovo mondo, pezzi combacianti che si saldano assieme e tracciano la strada da seguire per ritornare a casa.

Tuttavia alla fine della prima tappa di questo viaggio a dominare sono sensazioni di tutt’altro livello. Il risveglio della Forza sembra credere poco nella naiveté epica e assieme fiabesca che lo ha preceduto, preferisce piuttosto vestirne i panni all’insegna di quella finta irriverenza e decostruzione ironica che già segna il passo delle altre produzioni Disney targate Marvel.

Racconto di un ponte tra lo ieri e l’oggi per riscoprire la magia del cinema, Il risveglio della Forza è un film che nei fatti nega sé stesso e preferisce, secondo l’algida e prevedibile logica del conglomerato finanziario che ha preso il posto dell’Autore, cercare risposte facili dove dimora il minor rischio possibile.

Il risultato è un’operazione per certi versi simile a quanto fatto da Abrams con i suoi Star Trek, una rilettura che stringe un legame strettissimo e costante con Episodio IV e di cui a conti fatti diventa il reboot aggiornato. Nel ripercorrere gli stessi percorsi narrativi e visivi del capostipite, Il risveglio della Forza cancella quanto conquistato con la fine della trilogia classica e resetta la situazione con un nuovo Impero e una nuova Resistenza, senza perdere tempo a raccontare e giustificare questo tornare indietro. Forse sulla carta si sarebbe dovuto trattare del racconto di una guerra civile, ma nel disinteresse ad allargare lo sguardo e a raccontare qualcosa di diverso è difficile per lo spettatore cogliere il peso narrativo e la vastità della vicenda.

Il nuovo piuttosto è totalmente bandito, non tanto in termini di originalità (all’interno di un universo così espanso e narrato avrebbe poco senso pretenderlo) ma di coraggio e potenza visive, di respiro cinematografico, di invenzione. Oltre al tratteggio dei suoi due protagonisti (chimica che funziona nonostante tanto sia stato buttato nella mischia per poi dimenticarsene), Il risveglio della Forza è un film che si accontenta di limitarsi al calco, alla riproposizione aggiornata, al gusto retrò dell’effetto artigianale, senza però ricavare da questo massiccio uso iconografico un proprio campo d’azione. Il risultato vive di momenti spettacolari e accesissimi, pochi confronti di degna emozione, intuizioni brillanti (come la rilettura dall’interno degli Stormtroopers) ma nulla che si leghi in un tessuto filmico che possa dirsi compiuto. Di conseguenza c’è poco in questo nuovo episodio che possa durare nel tempo, e anche i nuclei tematici storicamente più vicini alla saga e alla personalità di Abrams non riescono a nascondere la loro natura dettata da calcoli e algoritmi. Questo per fortuna non offusca del tutto l’aspetto più riuscito del film, i nuovi araldi Finn e Rey e il loro antagonista, orfani in cerca di un destino e di un riscatto che tanto raccontano dell’humus spielberghiano che da sempre attraversa tutta la saga. Loro e Kylo Ren sono figure antiepiche, eroi e antagonisti in fieri che lottano contro i propri demoni e combattono per la propria identità, ma se attorno ad essi ci si accontenta di costruire una giostra museale che decide di scambiare la riverenza per calco programmatico, tutta la retorica sul ricambio generazionale e sul vecchio che incontra il nuovo viene semplicemente meno, soffocata per lo più dalle risate farsesche di un approccio Disney che non si tira indietro dal marchiare Star Wars con quello che ormai considera il suo ingrediente chiave: l’ironia, onnipresente come solo l’anfetaminica Gioia di Inside Out.

Un tempo avevamo un trio impegnato in una quest dal sapore fantasy e dai toni miracolosamente in equilibro tra leggerezza ed epica, un tempo avevamo l’incontro tra il cinema classico e il post-moderno in un semplice rovescio di battute, un tempo avevamo un solo Han Solo.

Oggi, Guardiani della Galassia docet, tutti i personaggi del gruppo diventano Han Solo, tutti ricorrono ad un umorismo dissacrante e sopra le righe che ammicchi allo spettatore e ne stimoli la fruizione dall’inizio alla fine del film. Ma se quella di Gunn è una commedia fatta e finita che si permette pochi momenti più seri in un clima di generale ilarità, Star Wars è qualcosa di diverso, una space opera non pensata per contenere al suo interno spezzoni che sembrano nati per parodiare il film stesso (per quello abbiamo avuto, per fortuna, il sempreverde Balle spaziali).

Il risveglio della Forza è lontano anni luce dalla verve politica e dall’ampio respiro narrativo della nuova trilogia, ma questo era prevedibile e anche corretto; i dubbi sorgono quando al posto di una qualunque visione ci si arma di una comicità dissacrante che non si sa far convivere ad una robusta costruzione del racconto, con il risultato di far precipitare nella parentesi farsesca parti crescenti del film. La velocità di battute presenti nello script è impressionante, e l’effetto è lontanissimo dall’ingenuità picaresca e anarchica suscitata da Lucas, più vicino piuttosto ai tanti cinecomics e alle loro pallide emulazioni di tono (Terminator Genisys).

A conti fatti non sorprende allora la fobia collettiva a tema spoiler che circonda il film, come se il susseguirsi delle rivelazioni potesse bastare a compensare l’assenza di un pathos e di un autentico peso cinematografico.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 16/12/2015

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