Soul

di Pete Docter

L’ultimo film Pixar è l’ambizioso punto d’arrivo della ricerca di Pete Docter sull’indicibile. Soul, rivolgendosi agli spettatori, interroga il medium cinema alla ricerca di quel reale che è al centro della narrazione.

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Soul  è forse il tassello più maturo del percorso autoriale organizzato da Pixar fin dagli esordi, ma intrapreso con evidenza solo negli ultimi anni. Da Toy Story 3, l’azienda di Emeryville ha infatti approfondito il modo in cui si rapporta al suo pubblico, sviluppando prodotti tematicamente stratificati e dalla complessità crescente, caratterizzati da una morale sfaccettata. In questo modo il cinema della Pixar diventa un’entità viva, che interagisce con ampi strati di pubblico, cresce con i suoi spettatori e sviluppa riflessioni in un continuo rimpallo tra testo e sottotesto.

All’interno di questo percorso emerge la personalità di Pete Docter, che da Inside Out, da un film che invita il suo spettatore ad accettare la tristezza come elemento fondamentale della propria vita, ha iniziato una personale ricerca all’interno di una sorta di spazio taboo, lavorando su tematiche complesse che lo spettatore solitamente tende a rifiutare (e certo cinema a evitare). Da questo punto di vista, Soul, che Docter dirige con Kemp Powers, è anche un primo approdo del suo studio, un film tanto coraggioso quanto incosciente, che forse, estraniandoci per un attimo dal sistema, ha amplificato la sua portata attraverso la distribuzione in streaming.
L’intimità della visione casalinga ha creato infatti lo spazio protetto ideale per ricevere un film che è un’antologia di quell’indicibile a cui si è accennato, un racconto in cui la morte è sempre in scena, mai negata, una narrazione che si popola di personaggi ambigui, di ossessioni, di follia, di anime perdute alla ricerca di uno scopo.

Soul sviluppa una narrazione inquieta al servizio di una morale tanto evidente quanto impietosa, che se da un lato invita a vivere il momento, ad abbracciare il reale e la sua concretezza, dall’altro ridimensiona il ruolo di elementi rassicuranti come il destino e il talento, invitando gli spettatori ad accettare il cambiamento e a maturare affrontando percorsi di vita imprevisti. Attraverso Soul la Pixar abbraccia, senza scappare, i lati oscuri dell’esistenza ma soprattutto utilizza la griglia tematica da lei stessa tracciata per avviare un’autoanalisi del suo immaginario, del suo rapporto con il medium, alla ricerca di quella concretezza, di quella tangibilità che è il centro tematico di Soul. Il film di Docter e Powers diventa dunque un inno al mondo reale, alla grana analogica che ci circonda, ricercata, ritrovata e amplificata attraverso il medium.
Soul verrà dunque ricordato per il suo insolito passo realista, per il modo in cui cattura l’anima complessa di New York, per come la regia dialoga con la liveness dell’esibizione musicale ma anche per l’ambizione che lo muove, per la volontà di riordinare un intero immaginario nel tentativo di spogliare un’immagine stratificata dal digitale fino a quella concretezza che la faccia tornare in contatto con il reale.

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Non è casuale che il viaggio di Joe inizi in uno spazio asettico e malleabile, corrispettivo di una realtà che, plasmata dal digitale, può assumere qualsiasi forma l’utente voglia. A partire da questa dimensione iperconnotata, la diegesi mina costantemente l’immagine, ne modifica i tratti essenziali sporcandola di spunti a bassa definizione (dal montaggio rapido tipico dei video virali al tratto essenziale di Osvaldo Cavandoli) tentando al contempo di ricostruire un’archeologia dello spazio digitale, che si sposta tra passato e futuro del medium, tra la guida Spargivento, santone New Age, al comando di una rete interconnessa di anime che parla come uno dei primi teorici di internet, e l’immersione dell’anima di Joe nel corpo di un gatto, momento che ricorda il download dal sapore cyberpunk di una coscienza in un altro corpo. Emblematico, a margine, quanto il viaggio di Joe sia puntellato di momenti che evocano l’atto del guardare e l’immagine cinematografica, simboli guida che ricordano, costantemente, l’oggetto dell’analisi. Da questo punto di vista è evidente quanto la fine del viaggio di Joe, il momento in cui l’uomo riabbraccia la concretezza della vita, sia anche il momento in cui l’immagine riprende di nuovo contatto fruttuoso con il reale.

Soul è forse il progetto più maturo della Pixar, un film attraverso cui lo studio sposta verso nuove coordinate il proprio stile e si spinge fino a interrogare il medium stesso. Soprattutto, il film di Docter e Kempers stupisce per la lucidità delle sue argomentazioni e per la volontà di abbracciare la sua stessa morale accettando le contraddizioni del suo essere. Soul si riappropria del reale ma nel frattempo negozia, senza mai rifiutarlo, con quello spazio digitale che media il suo rapporto con la realtà, una dimensione che al massimo il film può riordinare ma mai escludere, alla stregua di una parte essenziale del proprio essere.

Autore: Alessio Baronci
Pubblicato il 30/12/2020
USA 2020
Regia: Pete Docter
Interpreti: Jamie Foxx Tina Fey
Durata: 100 minuti

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