Paterson

di Jim Jarmusch

Poesia e routine: nell'essenzialità blu di Jarmusch.

Paterson di Jim Jarmush

"Il sangue della sensibilità è blu. Ho consacrato me stesso alla ricerca della sua massima espressione."

"Si può conoscere il mondo intero senza muoversi di casa, senza guardare dalla finestra si vedono le vie del cielo. Più si va meno si sa."

Nel bluChromaDerek Jarman

Dov’è Paterson? Paterson è una città negli Stati Uniti d’America, nello Stato del New Jersey. Cos’è Paterson? Paterson è anche una linea percorsa giornalmente dai bus della stessa cittadina. Paterson è oggi anche un film, il tredicesimo lungometraggio del più europeo tra tutti i registi (autori) indipendenti americani: Jim Jarmusch. Chi è Paterson? Paterson è un autista, e un poeta, che lavora nell’azienda di trasporto pubblico di Paterson. Paterson è sia un nome proprio di persona, sia un luogo geografico, sia altro. Paterson, e il New Jersey, è stato anche il luogo natale del poeta William Carlos William, fautore di una poesia minimalista tanto quanto lo stile del regista di Akron, nonché un modello per la poesia dello stesso Paterson. Le cascate sul fiume Pendraic, e le panchine che fronteggiano la cascata ad uso idroelettrico, sono state il luogo del pensiero di un altro poeta del New Jersey, l’autore dell’Urlo della Beat Generation, Allen Ginsberg. Quante sfaccettature può avere una singola parola? Dentro ad essa si può celare un pluralismo di significati, e cambiando il punto di vista, il quotidiano diventa straordinario, il conosciuto diventa sconosciuto, la routine diventa magia. Jarmusch riesce ad offrirci una pagina bianca sulla quale scrivere il nostro più intimo significato. Paterson è un luogo di transito dove il tempo si ferma per poi accelerare. Le stesse gigantografie cartellonistiche suggeriscono una via di fuga, un’accelerazione di un tempo introspettivo, poetico. Una parentesi di quiete tra la banalità della realtà. Jarmusch definisce il film in due estremi tangenti, simili ma non uguali, lasciando allo sguardo dello spettatore la possibilità di coglierne le differenze. La zona di confine tra queste due entità speculari, gemellari, è il territorio della poesia. Lo sguardo di Adam Driver è sempre teso e sognante verso due, uguali e differenti, stati emotivi della realtà. Da una parte osserva la parte gemellare di un’identità vera, percepita con lo stesso sguardo di un uomo comune, privo di poesia ma fonte di poetica, riconoscibile e riconosciuto, dall’altra vede la stessa identità, purché simile ma non uguale, tendente al meraviglioso, sconosciuta e riconosciuta solo dall’animo poetico. Paterson è un gesto quotidiano, morbido e sensibile, che lascia una traccia sulla roccia. Definendo il peso della poesia e delle parole, quasi nullo nel loro significato minimale d’inchiostro e carta – "Erano solo parole scritte sull’acqua" - ma forte e calcato nell’accezione di creazione straordinaria che nasce nell’ordinarietà dell’esistenza umana. Un gesto che deve essere per tutti – come vorrebbe far credere la sua compagna Laura (Golshifteh Farahani), e musa (allora perché non, petrarcamente parlando, definirla direttamente L’Aura), del protagonista – ma anche per nessuno, neanche di proprietà dello stesso suo autore/creatore che riconosce nelle sue parole l’intimità di una fuggevole carezza, a cui tiene talmente tanto da togliergli il coraggio di condividere, rendendole così di proprietà di qualcun’altro o di se stesso. Paterson sembra definire la creazione artistica come necessità intima d’espressione e non come fonte di guadagno, di sostegno economico. Sembra liberare il poeta dalla schiavitù della sussistenza danarosa e superficiale, immergendo il protagonista dentro ad una routine che appiattisce l’empatia poetica dentro ad una ciclicità imprigionante, ma che allo stesso tempo, riesce a sprigionare la fonte della poesia che non è nient’altro che l’esistenza altrui osservata tramite gli occhi del fanciullino. E’ il mondo che ci circonda vissuto dall’umanità che abbiamo accanto, è Paterson come luogo, di vita e d’esistenza, il bacino della creazione. La dualità intrinseca tra l’essere e l’apparire (agli occhi meravigliati del poeta) torna anche nel rapporto che si viene a creare tra Paterson e Laura, yin e yang, di una compenetrazione cellulare tra la virtù e l’estrosità, tra il minimalismo poetico recettivo e la rigidità reattiva e visiva, tra chi ha il talento di rendere poetiche e profonde le banalità quotidiane e chi ha molti sogni nel cassetto, tra chi sa essere felice nel suo habitat occlusivo in quanto riesce a ritagliarsi un angolo di pura creatività e chi è superficiale nonostante ha lo spazio, e il desiderio (e non il bisogno, sia chiaro) per poter non esserlo. E risulta naturale come l’arrivo finale raggiunga il grado zero della confezionatura estetica e del barocchismo linguistico, ben oltre la rima, ben al di la del verso sciolto, raggiungendo la fonte della struttura (ferrea quanto un endecasillabo) e dell’essenzialità propria dell’haiku.

Dopo il decadentismo di Only Lovers Left Alive, Jarmusch torna a confrontarsi con l’essenzialità (principio stesso di tutta la sua intera filmografia) del gesto artistico e del cinema. Da una casa che sembra ricostruita sulle fondamenta del cottage a Dungeness, riempie le immagini del colore blue che più contraddistingue la deriva poetica verso un abisso privo di confinamenti e limiti, la stessa tonalità che ha definito Kline e che ha ispirato il testamento di uno dei più grandi poeti visivi di tutto il novecento, Derek Jarman, quando oramai reso cieco dall’Aids raccontava in sottofondo la sua vita e la sua filosofia. Una filosofia anch’essa senza traguardi, senza soluzioni, che riesce a risultare malleabile, acquosa, in un divenire in grado di comprendere anche altri principi filosofici come quello espresso da David Foster Wallace, in Questa è l’acqua, dove riesce ad esplicitare il bisogno di riconoscersi tramite la consapevolezza del mondo che ci circonda, per sollevare il velo alla meraviglia su di un mondo dato per scontato. Significato questo che Paterson nel finale riesce pienamente a cogliere e condensare con la sua ultima poesia The Line dove oramai diventato pesce sceglie di immergersi nell’acqua, stato ideale alla sua natura.

Non ci sarebbe Paterson senza una poesia finale a chiudere l’articolo, e per evitare di farvi la doccia con l’impermeabile lascio il componimento che segue non tradotto. William Carlos William, Shadows. "Shadows cast by the street light| under the stars,| the head is tilted back,| the long shadow of the legs| presumes a world taken for granted| on which the cricket trills."

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 23/12/2016
USA 2016
Regia: Jim Jarmusch
Durata: 113 minuti

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