Nostos

Il mito di Ulisse tra sogno, poesia e documentario, attraverso lo sguardo visionario di Franco Piavoli.

Tra i registi più apprezzati del cinema sperimentale italiano a partire dal primo lungometraggio intitolato Il pianeta azzurro (1982) - che fu lodato da Tarkovskij - Franco Piavoli è autore di opere sorprendentemente immaginifiche e liriche. Fotografo e pittore oltre che cineasta, mostra nel bellissimo Nostos – e non solo qui – una sapienza affascinata per l’esplorazione della luce e del colore e una capacità evocativa di rara potenza. La radicalità del suo approccio è dichiarata fin da subito, dalla didascalia che informa che “i dialoghi del film sono ispirati a suoni di antiche lingue mediterranee”; lingue assolutamente inintelligibili per lo spettatore, lingue che – abolita ogni funzione informativa del dialogo – sono ridotte alla loro primitiva essenza sonora. E paradossalmente, anziché respingere per la loro oscurità e incomprensibilità, questi suoni contribuiscono non poco a rafforzare l’aspetto specificamente “immersivo” di questa opera fluida, morbida e sfaldata. Che è, come suggerisce il titolo, un’altra versione del ritorno di Ulisse.

Senza cercare una netta corrispondenza con il percorso dell’eroe mitico tracciato dai versi di Omero, Piavoli resta sospeso in una dimensione evanescente e allucinatoria, in cui sogni, ricordi e delirio si sovrappongono e si confondono. Non di meno, riesce a esplorare tutta una gamma di sentimenti e stati d’animo – smarrimento, audacia, desiderio, terrore, ostinazione, nostalgia – che fanno del viaggio di Ulisse una metafora plurisemantica, che trascende la contingenza per guardare all’universalità.

Il mare sconfinato e impietoso, la piccolezza dell’uomo di fronte all’impeto rovinoso di una natura non sempre benigna; ma anche isole paradisiache popolate da animali meravigliosi e sfuggenti, e infine antri bui e cupe caverne disseminati di presagi di morte: luoghi fantastici che trasfigurano in un susseguirsi di visioni, descritti attraverso uno sguardo essenzialmente documentaristico, tutto volto a carpire i dettagli - un insetto, un fiore, l’acqua che scorre placida tra le rocce.

Messa a margine la narrazione - ridotta a mero pretesto esplorativo del reale – Piavoli elegge a protagonista la Natura in ogni sua forma e manifestazione, per procedere verso l’astrazione, la stilizzazione, la poesia. Nostos è, per certi aspetti, un film tutto rivolto ai sensi: ribadisce il primato assoluto della visione pura in opposizione al “racconto” e utilizza le potenzialità del sonoro in senso espressivo. Il regista sembra lasciare pressoché intatta e inalterata la realtà dei luoghi e dei paesaggi, che si riversa come autonomamente nell’obiettivo, eppure al contempo la plasma fondendola con il sogno e il mito, mantenendosi sempre lontano da ogni artificiosità e affettazione.

Non è esagerato affermare che pochi registi al mondo possiedono lo sguardo raffinatissimo e ammaliante di Piavoli, definito dal critico Adriano Aprà «figura poetica di enorme livello» . Eccezionale e preziosa è la sua capacità di restituire in immagini superbe non solo la bellezza della Natura ma, in un certo senso, la spiritualità intima e profonda che questa bellezza possiede. Vengono in mente autori del calibro di Malick e Tarkovskij di fronte alla seduzione visiva sprigionata da Nostos, e balza inevitabilmente all’occhio la discrepanza tra l’estrema importanza dell’operato del cineasta e l’inadeguata (seppur non assente) attenzione critica fin’ora riservatagli.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 27/06/2016

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