
Presentati in occasione della quarantacinquesima edizione del festival irpino Laceno d’oro International Film Festival, Dove sono stato – cortometraggio realizzato quasi vent’anni fa e visibile per la retrospettiva che il festival dedica a Corso Salani - e Giorno di scuola di Mauro Santini sono due film molto diversi.
Da un lato, c’è il tentativo di recuperare, più che un’amicizia in carne e ossa, ciò che resta del proprio tempo in una rielaborazione memoriale che passa per il viaggio e il movimento, nei cui interstizi le immagini e parole di Santini “recitate” dalla voice off spezzata di Corso Salani diventano un tutt’uno. Dall’altro c’è Giorno di scuola, girato letteralmente insinuandosi tra gli alunni e le alunne della scuola di Pieve Torina, ricostruita dopo il terremoto del 2016. La collettività cui Santini decide di dare voce tenta di rialzarsi all’indomani di quella strage partendo proprio dalla ricostruzione fisica e morale di uno di quegli spazi sociali e culturali da cui non si dovrebbe mai prescindere.
Il messaggio – se di messaggio vogliamo parlare – del film di Santini risulta per questo particolarmente risonante, tanto più pensando al contesto pandemico in cui ci troviamo oggi, dove si decide di poter fare a meno della scuola come luogo fondamentale per pensare a delle pratiche di rinnovamento, o come in questo caso, per mettere in atto una vera e propria rinascita, prima ancora che spazio di aggregazione altrettanto importante.
Giorno di scuola è un progetto nato dall’incontro con Giuliano De Minicis, Tonino Dominici e Sandro Paradisi che con il Gruppo Succisa Virescit hanno dato vita alla raccolta fondi che ha portato alla costruzione della nuova scuola di Pieve Torina. Nel film lo sguardo di Santini è ravvicinatissimo e si muove agile tra le reazioni di ogni bambino e bambina in classe e negli spazi antistanti la scuola: si colgono così l’intimità e la magia, quasi, di quei rapporti che cominciano a poco a poco a prendere forma e l’importanza delle connessioni che ogni maestro o maestra è in grado di instaurare attraverso il dialogo e anzitutto la pazienza, qualità che non sembrano mai essere un peso. E potremmo parlare, in questo senso, di una poetica della cura, riferendoci al modo in cui il cineasta marchigiano si avvicina alle cose del mondo e le segue, timidamente, appunto, come ricordava anche Ghezzi.

Il movimento quieto e circoscritto di Giorno di scuola si contrappone alla sintassi nevrotica e pulsionale di Dove sono stato, in cui lo sguardo di Santini si ferma poco a osservare ciò che gli sta intorno attraversando strade e città freneticamente, in maniera quasi “cortazariana” per certi aspetti, e a questo concorrono la limpidezza e fragilità delle parole accompagnate dalla voce di Salani e che non stanno lì a spiegare ciò che vediamo – la concordanza tra testo e immagini è spesso indefinita – quanto ad ampliarne la percezione conducendo lo spettatore, in maniera sempre più radicata e profonda, nello stato mentale dell’io narrante che racconta la vicenda essendone al contempo (l’unico) partecipe.