The World Is Flat

di Matteo Carrega Bertolini

Vincitore del premio della critica SNCCI nella sezione "Nuove impronte" allo Shorts International Film Festival di Trieste, l'esordio di Carrega Bertolini racconta con sguardo limpido e personale l'amicizia e i sentimenti alle prese con il tempo soverchiante.

the world is flat - recensione film

Spesso ci si domanda di che cosa si parla quando si parla di cinema francese. Le risposte possono essere le più vaghe e superficiali, tra la naïveté di chi crede si tratti soltanto di un impianto artificioso di fiumi di parole e dialoghi consumati in interni suburbani, e la caparbietà di chi da una storia esige per forza l’incidente scatenante, potremmo dire quel coup de foudre necessario affinché curiosità e attenzione si destino. La realtà non è però così manichea. Il cinema francese ha da sempre potuto conglobare tutta la complessa varietà di codici e generi cinematografici – si pensi agli anni ’70/80 come momento di maggiore sperimentazione, tra la Nouvelle Vague, Lelouch, Sautet, il polar e tanto altro – riuscendo a conservare un proprio marchio distintivo specialmente nella costruzione psicologica dei personaggi. Un’attenzione, quindi, rivolta all’inner space, agli slanci e afflati verso l’esterno che ne risulta in questo senso una propagazione ed estensione. Sembra che il primo lungometraggio di Matteo Carrega Bertolini, anima cosmopolita divisa tra Francia, Svizzera e Italia, lasci collimare tutti questi elementi, pervenendo a un prodotto esile nella durata ma oltremodo evocativo, cristallino.

The World Is Flat è un racconto di crescita e formazione di più individui in cui l’amicizia e il suo evolversi (o involvere) hanno un ruolo determinante, facendo da collante dei singoli microcosmi rappresentati. Carrega Bertolini ci parla di un’amicizia che si sviluppa nell’arco di tre anni tra il timido Jean e l’impavido Antoine, incontrato per caso in un bistrò dopo essersi negato del divertimento a una festa, un rapporto teso tra gli orrori di un quotidiano sempre uguale che vampirizza autenticità e sentimenti e le difficoltà a emergere in ciò che ci si era prefissati di diventare. Il ritmo della narrazione ha così un incedere particolare, a metà tra la coralità di punti di vista e situazioni di stampo altmaniano e il loro dilazionarsi nel tempo come se dietro la macchina da presa ci fosse un tale Philippe Garrel. Non per caso è un bianco e nero traslucido a connotare la flagranza e chiarezza dell’immagine, come sono anche reminiscenze “garreliane” l’alternanza di toni chiari e scuri sui volti anche in relazione agli stati d’animo che cambiano, e quell’ostinato seguire e inseguire i personaggi nei loro andirivieni sia fisici che emotivi, come se la macchina da presa li pedinasse e non se ne volesse mai staccare. Noto connubio cinema-vita.

Autore: Elvira Del Guercio
Pubblicato il 02/08/2019
Francia, Italia, Svizzera 2018
Durata: 76 minuti

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