Rapito

di Marco Bellocchio

Nascita di una nazione

Rapito_Bellocchio - recensione film cannes

Cosa è la coerenza?” chiede il piccolo Leonardo al padre Ernesto in L’ora di religione. E il padre, interpretato da Sergio Castellitto, risponde “è fare ciò che dici di voler fare. Se uno dice una cosa e fa un'altra cosa, non è coerente”.
La conversione richiesta a Ernesto Picciafuoco in L’ora di religione allo scopo di avallare una santificazione della madre (“stupida” come la definisce lo stesso Ernesto) affinché la famiglia ne ricavi benefici e privilegi terreni, e che lui rifiuta (per coerenza), fa il paio con quella imposta a Edgardo Mortara in Rapito (il cui titolo originariamente era proprio La conversione ed è quanto mai curioso che a impersonare il “plagiato” protagonista da giovane adulto sia Leonardo Maltese, ovvero l’Ettore Tagliaferri, strumentalmente indicato come vittima di plagio, in Il signore delle formiche di Gianni Amelio), ma ancor di più con quella che lui stesso tenta di estorcere sul letto di morte alla madre. Che, stavolta non stupida, ma coerente, rifiuta. Come Picciafuoco. Come Bellocchio.

Anche i detrattori, infatti, anche coloro ai quali il cinema di Marco Bellocchio non piace, non possono contestargli l’incoerenza. Dall’esordio con I pugni in tasca all’ultimo lavoro, Rapito (ispirato alla vicenda della sottrazione, da parte del Vaticano nella persona del Papa Pio IX, di Edgardo Mortara alla famiglia ebrea di origine, in quanto segretamente battezzato da una domestica e quindi destinato a una educazione cattolica) Bellocchio si è interrogato, e ha interrogato allo stesso modo la Storia, sulla natura prevaricatrice del potere e di ogni istituzione che ne è manifestazione. La famiglia in primis (con un’appendice, non così tanto a latere, che è la famiglia mafiosa nel recente Il traditore), e poi ancora la scuola, la politica, la Chiesa. È proprio la Chiesa a rappresentare il potere in Rapito, così come fa il “Partito” nel precedente Esterno notte.

rapito  bellocchio rece film e32

Ma religione e ideologia attraggono, affascinano il regista di Bobbio. Del resto, la parola “rapito” è un significante che ingloba due significati: portato via, sottratto oppure attratto, affascinato, in perdurante stato di adorazione, ammirazione o affetto (altro significante che, a seconda che sia sostantivo o aggettivo, ha un’accezione positiva e negativa). Edgardo Mortara, si può dire, è quindi sia sottratto sia, successivamente, attratto, così come Bellocchio nutre affetto, ma si è trovato più volte nella sua vita e nella sua carriera a “essere affetto da…” (la decennale collaborazione con Massimo Fagioli, da Diavolo in corpo a Il sogno della farfalla). Ed è proprio questo oscillare tra attrazione e repulsione (conseguente alla cattività) che determina la schizofrenia di gran parte dei personaggi del regista di Esterno Notte. Mortara che pure considera Pio IX suo mentore, si scaglia contro la sua bara così come i rivoltosi. Un po’ come il protagonista di Nel nome del padre, dall’emblematico (di un’età di passaggio) nome Angelo Transeunti, che prende a schiaffi il padre nella prima scena, si ribella all’autorità ecclesiastica del collegio, ma, in fondo, aspira anche lui a esercitare il potere.

In un mondo, in una società abituata al trasformismo, al compromesso, alla schizofrenia ideologica, la coerenza (“fare ciò che dici di voler fare”) può essere vista come ottusità. Non sembri un volo pindarico l’idea che Rapito possa essere accostato, per certi versi, a Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Sono entrambe opere/bilancio. Ma mentre quella di Moretti è attraversata da una sorta di resa nei confronti dei lutti che, da sempre, il regista romano ha elaborato nei suoi film, soprattutto perché il mondo, la società sembravano sordi alle “risposte” che pure lui provava a dare,  il bilancio di Bellocchio è quello maggiormente sereno di chi, nel corso della sua vita/carriera, si è interrogato e ha interrogato ma non ha mai dato risposte e, semmai,  ha sempre opposto la coerenza del proprio agire ai lutti, alle perdite, sia personali (la morte del fratello) che collettive. Collettive, già. La filmografia di Bellocchio è attraversata da narrazioni psicanalitiche dell’individuo e da narrazioni psicanalitiche della collettività, equilibrando negli ultimi anni queste due traiettorie, grazie a film quali Vincere, Buongiorno, notte, Bella addormentata, Il traditore, Esterno notte, Rapito che hanno seguito, preceduto, affiancato L’ora di religione, Sorelle, Sorelle mai, Sangue del mio sangue, trovando in Marx può aspettare la perfetta sintesi dell’uomo saggio (“quando si ha una certa età si diventa saggi”). E, dato che il primo trauma per l’individuo è identificato psicanaliticamente nella nascita, si può a ragione sostenere che Bellocchio sia impegnato, da tempo, e lo si evince in maniera chiara dalla visione di questo Rapito, nel suo racconto, psicanalitico, della “nascita di una nazione”.

Autore: Rosario Gallone
Pubblicato il 14/06/2023

Articoli correlati

Ultimi della categoria