Unbreakable - Il predestinato

di M. Night Shyamalan

Shyamalan realizza un film sulla nascita di un supereroe dove la spettacolarità è annullata in favore di un’epica del cuore.

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Rivedere Unbreakable - Il predestinato a circa diciassette anni dalla sua uscita nei cinema è al tempo stesso una rivelazione e una conferma, soprattutto se questa visione si colloca in un contesto di mercato come quello contemporaneo. Abituati a ogni sorta di cinecomic, di elaborazione reiterata della figura supereroistica, schiacciati da una lotta fra titani (Marvel e DC), da un cinema che predilige l’accumulo e lo spettacolo (pur con qualche eccezione), oggi assistiamo più che mai al culmine di quello che, di fatto, è diventato un vero e proprio genere a sé stante. Che il supereroe avesse un lato oscuro e perverso ce lo aveva già mostrato Alan Moore con Watchmen, ma nessuno (al cinema) è riuscito a dargli una dimensione tragica e umana come ha fatto M. Night Shyamalan con Unbreakable.

Dopo il successo stratosferico de Il sesto senso, che ha posto l’autore al centro dell’attenzione critica e mediatica mondiale, Shyamalan si è ritrovato nel momento cruciale di dover dare continuità al percorso intrapreso e confermare le sue abilità di autore e regista. Sceglie la via della coerenza, rifiuta le avances di un cinema spettacolare e fracassone, decreta la sua autorialità da vero e proprio outsider/insider, ovvero destabilizzatore all’interno del sistema.

Unbreakable è la storia di David Dunn (di nuovo Bruce Willis) che, sopravvissuto a una tragedia ferroviaria, prende lentamente coscienza dei suoi poteri. David, in questo suo percorso, è aiutato da Elijah Price (Samuel L. Jackson), un uomo che soffre di una rara malattia che lo rende fragile come un cristallo. Da qui Shyamalan decide di costruire il suo film più intimo e ipnotico attraverso una decostruzione: quella dello stereotipo del supereroe. Lo fa seguendo due strade: una è quella del ritmo, l’altra del concetto stesso di supereroe.

Anzitutto Shyamalan proietta la tensione del suo film in una dimensione lenta, ipnotica, destabilizzante. Lo fa sin dall’inizio, in quelli che sono due specifici incipit, ciascuno con un proprio importante ruolo. Sceglie un punto di vista univoco, fermo per raccontare la genesi di eroe e antieroe; li pone immediatamente al centro dell’occhio, anche dove fisicamente non presenti. L’inizio di Unbreakable è cruciale perché stabilisce subito il patto con lo spettatore: suggerisce di entrare nella storia piano piano, di nascosto, quasi impercettibilmente. E di rimanere lì, in un angolo, a osservare la storia e le storie di uomini che si appropriano della propria eccezionalità, a prescindere dai poteri. Ecco che Unbreakable diventa un film sulla nascita di un supereroe dove la spettacolarità è annullata in favore di un’epica del cuore. In questo modo l’idea stessa di supereroe trascende tutto e tutti per diventare altro, occasione per narrare l’eroe che è in ciascuno di noi, quello che affronta il grigiore quotidiano, il disagio esistenziale, la frattura familiare. E a proposito di famiglia: Unbreakable è l’ennesimo tassello atto a costruire il portato poetico e concettuale del suo autore. A ripensarci tutti i film dell’autore indo-americano sono peculiari riflessioni sulla necessità dell’unione familiare, della coesione emozionale, dell’importanza che ha la priorità del cuore. Tutti raccontano la segreta necessità di una compattezza che ha il fine di costituirsi come scudo contro le avversità della vita. Da Il sesto senso a Signs, da The Village a The Visit, passando per E venne il giorno e After Earth (o ancora Lady in the Water): tutte queste pellicole riflettono su questo, che è fattore fondante del cinema shyamalaniano, quello che lo rende il più onesto erede della tradizione spielberghiana.

Poi c’è lo stile: Shyamalan ha attraversato un decennio di odio generale. Con il suo film maledetto (Lady in the Water) si è inimicato tutti: gli spettatori, il sistema, i produttori, che non hanno lesinato nel limitare la sua verve creativa. Tutti, all’improvviso, si sono dimenticati di cosa sono stati e cosa hanno rappresentato le grandi opere che rendono Shyamalan uno dei più virtuosi e importanti autori degli ultimi vent’anni. Unbreakable è semplicemente un tributo al cinema, un omaggio all’atto del guardare e alla capacità della Settima Arte di farsi coinvolgimento assoluto e drastico, in forme radicali e prive di compromessi. La delicatezza dell’occhio di Shyamalan, la cura dei dettagli, la capacità di generare universi emozionali con la sola composizione dell’inquadratura o con l’uso attento e minimale dei movimenti di macchina sono le assi portanti di un discorso che, al di là di tutto e tutti, è precipuamente l’atto assoluto di glorificazione del cinema e dei suoi meccanismi.

Autore: Andrea Fontana
Pubblicato il 15/01/2017
USA 2000
Durata: 110 minuti

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