The Farewell - Una bugia buona

di Lulu Wang

L’opera seconda di Lulu Wang è una dramedy incentrata su un conflitto familiare e culturale, che nonostante le potenzialità della storia autobiografica si mantiene su una base piana e rassicurante.

Farewell - recensione film - Lulu Wang

Da noi è approdato nel periodo delle calde sale natalizie e dei buoni sentimenti (nonostante di questi ultimi sia teso a rivelare la simulazione), ma a inizio 2019 The Farewell – Una bugia buona è stato il pupillo del Sundance. Non a sorpresa, perché l’opus numero due della cinese naturalizzata statunitense Lulu Wang aveva tutte le carte in regola per figurare come ultimo gioiellino prefabbricato del canone istituito dal festival, tra vaghe stramberie e una lunatica malinconia di fondo, al netto – per nostra fortuna – di una certa ruffianeria (quella, per intenderci, di un Captain Fantastic o di un Lady Bird, che dal Sundance non passò ma che di Sundance profumava dalla prima all’ultima inquadratura). Tuttavia, di una strumentazione utile per andare oltre questa patina trita il film ne beneficiava.

Adattato da un breve testo autobiografico del 2016, What You Don’t Know, andato in onda nel programma radiofonico This American Life, The Farewell è la rielaborazione di un segmento d’esistenza di Wang. Che qui è Billi (interpretata da Awkwafina, ultimo caso di comedian che goes drama), cinese trasferitasi da piccola coi genitori a New York da Changchun, circa-trentenne intercettata in un momento antipatico della propria vita: aspirante scrittrice, la sua domanda per la Guggenheim è stata respinta ed è finanziariamente a secco, sul collo il fiato dell’affittuaria. Ciliegina sulla torta marcia, viene casualmente a sapere che a Nai Nai (la veterana Shuzhen Zhao), la nonna rimasta in Cina, restano pochi mesi di vita e che l’intera famiglia Wang ha scelto di tenerglielo nascosto, organizzando un abborracciato matrimonio come scusa per darle l’ultimo addio. In tutta fretta Billi raggiunge i genitori e l’affollato parentado a Changchun, trovandosi smarrita nei contorni di un paese in cui da tempo non ha più un posto, e stretta nelle maglie decisionali di una famiglia che non permette alla sua voce contraria di avere un peso, un ruolo, una forza risolutiva.

Proprio il fatto che la protagonista, dunque la portatrice del punto di vista che seguiamo e dei sentimenti in cui c’immedesimiamo, venga ripetutamente schiacciata, silenziata, isolata in un angolino osservativo, che per l’intera durata del film rimanga impotente, passiva, è l’idea più interessante di Wang (Lulu), ma il punctum centrale della vicenda è la forbice tra i due punti di vista in collisione – quello privato e personale di Billi contro quello familiare e “collettivo” dei Wang –, prospettive antitetiche che riflettono la differenza più universale tra l’approccio occidentale (dove ognuno è responsabile di sé, autonomo nella propria libertà di scelta) e quello orientale (dove una persona fa parte di un tutto, e a quel tutto spetta condividere il dolore di uno). Ebbene è questa forbice che la regista non indaga mai nel profondo, evitando di entrare nella natura delle differenze, rimanendo  proprio come Billi (ma senza il suo “alibi”, l’imbavagliamento prescritto da volontà esterne e altrui) discostata dalle scenette che snocciola, contemplando l’ambiente quasi con timidezza, sbirciandolo, cogliendone frammenti di superficie. Come una malinconica visita guidata da uno sguardo occidentale, anzi, meglio, americano, a raccogliere da dietro un vetro curiosi souvenir di un luogo altro, impenetrabile, mantenuto a distanza di sicurezza.

Oltre la frustrazione malcelata e di tanto in tanto sfogata da Billi, v’è insomma poco altro, quantomeno ai nostri occhi, agli occhi di un film che preferisce un territorio di visione e narrazione rincuorante, conciliatorio senza affondi critici (la conversazione a tavola su vizi e virtù degli Usa vs Cina ne è esempio perfetto: ondivaga e leggera). Fra qualche lacrima, simpaticheria, quadretti minimal e una chiusa volutamente sottotono, The Farewell scivola via tenendo a bada la complessità e preferendole un’esile, inoffensiva delicatezza.

Autore: Fiaba Di Martino
Pubblicato il 30/12/2019
Cina, USA 2019
Regia: Lulu Wang
Durata: 98 minuti

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