Birth/Rebirth

di Laura Moss

L'esordiente Laura Moss si confronta con il mito di Frankenstein attraverso un horror raggelato che mette al centro il corpo della donna e quello che può (anche eticamente) sopportare. Dalla sezione "Crazies" del Torino Film Festival 2023.

Birth/rebirth - recensione film Moss

In tempi in cui l'horror spesso e volentieri eccede nel suo gusto per l'allegoria, ossessionato da un “messaggio” che usa il genere come semplice pretesto, un film come Birth/Rebirth potrebbe sembrare quasi elementare nella sua immediatezza. Eppure, a rendere interessante il lungo d'esordio di Laura Moss – visto al Torino Film Festival e già passato per il Sundance – è proprio il modo in cui ragiona su temi forti e sempre attuali come potrebbero essere quelli legati alla maternità e alla genitorialità, senza mai voler trascendere il genere di appartenenza, senza mai diventare esplicitamente e superficialmente “politico”.

Operando il più significativo dei gender swap, il film riprende infatti il Frankenstein di Mary Shelley per fare della figura prometeica del suo mad doctor qualcosa di nuovo. Una figura non solo ribaltata di segno ma sdoppiata in due opposti che incarnano due mondi, due sistemi di valori agli antipodi eppure solo apparentemente inconciliabili. Nello strano rapporto di co-dipendenza che si instaura tra Rose (Marin Ireland), fredda e ossessiva anatomopatologa che, novella re-animator, ha scoperto il modo di ridare la vita attraverso l'uso di cellule staminali, e Celie (Judy Reyes), ostetrica affettuosa ed empatica travolta dalla morte improvvisa della figlia Lila, ci sono infatti due modi di intendere il femminile (e la maternità) che cozzano tra loro ma che si uniscono in un'alleanza che metterà le due donne di fronte a dilemmi etici via via sempre più significativi, fino a ribaltare i rispettivi ruoli e a confrontarsi con scelte decisamente estreme.

Birth/rebirth - recensione film moss 2

Se è vero che l'opera di Shelley, al di là del celebre tema dell'uomo “che gioca a fare Dio”, porta già avanti un discorso sulle paure e le ansie legate alla procreazione e alla genitorialità, Birth/Rebirth sembra operare il naturale passo successivo: riportare, in maniera esplicita, la donna al centro di quel discorso. Non più uomini che, senza bisogno della controparte femminile, generano artificialmente altri uomini, dunque, ma donne che, dando e ridando la vita, rivendicano il proprio ruolo attivo sulla scena. Anche a costo di sperimentare i limiti dell'etica e del loro stesso corpo.

Ambientato quasi esclusivamente in interni, Birth/Rebirth racconta così di un orrore opprimente e claustrofobico che nega il soprannaturale (siamo lontani da film come Flatliners o Pet Sematary) restando con i piedi ben piantati in una realtà fatta di ossessioni e sentimenti, scienza e affetto, dove l'orrore non sta solo nelle raggelate sequenze di vivisezione che scandiscono la vicenda, donandole una patina inevitabilmente cronenberghiana, ma nelle scelte che, per il (presunto) progredire della scienza o per amore, si è portati a compiere.
Un orrore ambiguo su cui la regista pare sospendere il giudizio, interessata com'è a farci entrare piuttosto nelle dinamiche di questa famiglia sui generis, facendoci empatizzare con essa (soprattutto con il dolore di madre di Celie, contrapposto alla freddezza pragmatica di Rose) solo per poi costringerci a fare i conti con decisioni via via sempre più estreme e discutibili. È proprio per questo che Birth/Rebirth può dirsi un film davvero scioccante, per lo scontro di sguardi e punti di vista che mette implacabilmente in scena e con cui interpella costantemente lo spettatore. Consapevole che non esistono risposte facili quando ci si confronta col dolore della perdita e quando è in gioco la responsabilità stessa, e tutta femminile, di dare (o ridare) la vita.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 05/12/2023
USA 2023
Regia: Laura Moss
Durata: 101 minuti

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