L'attacco dei giganti - Parte 1: L'arco e la freccia cremisi
La prima parte di una coppia di film tratti dal manga shonen disegnato da Hajime Isayama

L’attacco dei giganti: L’arco e la freccia cremisi è il primo di una coppia di film di animazione sontuosi e di grande ambizione. La storia è tratta da un manga shonen di grandissimo successo disegnata da Hajime Isayama, da cui sono già stati tratti una serie TV, diversi OAV (original anime video: film animati per il mercato home video), libri e diversi altri prodotti. Presto arriverà anche l’adattamento live action.
Nel mondo de L’attacco dei Giganti, l’umanità vive in pace da oltre un secolo, asserragliata nei propri territori difesi da tre ciclopiche cinte murarie. Shiganshima è la città più esterna dei territori abitati; al di fuori delle mura, un mondo ormai dimenticato e una minaccia sinistra. Un giorno, un gigante di proporzioni immense appare al di fuori delle fortificazioni e crea una breccia da cui penetra un esercito di giganti cannibali. Tre ragazzi assistono impotenti al massacro e all’esodo della popolazione verso i territori interni.Cinque anni dopo, i tre ragazzi sono cadetti delle forze militari dell’umanità. I giganti attaccano di nuovo e gli uomini devono combattere un incubo apparentemente invincibile...
Le suggestioni dietro alla storia de L’attacco dei Giganti sono numerose e di grande presa sui giovani lettori e spettatori. Le tematiche politiche sono quelle meno originali, ma sono sviluppate in modo soddisfacente: la città murata dove si svolge la storia è una chiara metafora della civiltà che sceglie l’isolamento all’apertura, tema fondamentale della storia giapponese, cinese e di diverse altre civiltà orientali. Gli sviluppi psicologici e pedagogici della storia non sono meno potenti: l’adolescenza e l’incapacità di comprendere corpo e psiche in tumultuosa mutazione sono al centro de L’attacco dei Giganti e uno stile grafico profondamente inquietante e quasi espressionista ne amplificano la portata emotiva. Infine, efficace ed azzeccata è la scelta di un’ambientazione che si ispira al medioevo europeo, su cui vengono innestati alcuni elementi steampunk. La scelta di un’architettura slanciata verso l’alto conferisce notevoli opportunità per dei giochi di punto di vista e di movimento tridimensionale dello sguardo e dei personaggi (la tecnologia che permette ai soldati della città di saltare da un edificio all’altro per raggiungere e colpire i punti deboli dei giganti si chiama, appunto, Movimento Tridimensionale).
Come si è detto, il manga ha avuto un incredibile successo di pubblico in Giappone, toccando i livelli di vendite e tiratura di One Piece e pochi altri. Purtroppo, il film è meno convincente. Meno convincente è lo stile dell’animazione, piuttosto anonimo per quanto spettacolare. Non mancano le sbavature a livello di narrazione ed è cronico l’eccesso di commento sonoro per sottolineare ogni tragedia e ogni momento di tensione. Tutti difetti veniali, che avremmo facilmente perdonabile se, a monte, non ci fosse un grosso fraintendimento del mezzo cinematografico.
Trasporre un oggetto estetico da un linguaggio artistico ad un altro è una sfida di difficoltà estrema, quasi insostenibile: le regole e le strategie di un medium si perdono in una terra di nessuno dove le “segrete corrispondenze” si fanno fumose e difficili. Spesso, le migliori trasposizioni sono quelle più indipendenti e ardite, come nel liberissimo Il fu Mattia Pascal (1926) di Marcel L’Herbier o nei lavori di Pasolini ispirati a teatro e letteratura.
Tradurre un linguaggio visivo come quello del manga (ma il discorso si può estendere, mutatis mutandis, ad anime e serie TV) in quello cinematografico è una trappola ancora più pericolosa: l’apparente similarità di linguaggio ha portato innumerevoli registi a perdere il controllo del film[1].
L’attacco dei giganti soffre di questo limite. Rafforzando il fronte visivo e quello spettacolare, il regista Tetsuro Araki lascia sguarnito quello narrativo. Comprimere decine di episodi televisivi in due film si è rivelato impresa eccessivamente difficile per il regista, che in passato ha lavorato prevalentemente sul fronte anime televisivo. Ellissi eccessive e colpi di scena bruciati per eccesso di fretta e mancanza di ritmo sono i limiti principali de L’arco e la freccia cremisi. Un esempio su tutti: il primo atto del film, che avrebbe dovuto costruire la tensione culminante nell’assedio dei giganti, si consuma in pochi minuti di dialoghi e presentazioni di innumerevoli personaggi.
Chiaramente, due film non sono sufficienti per raccontare una storia di questa complessità in modo soddisfacente. Tuttavia, trattandosi di un formato standard delle trasposizioni manga-cinema (stesso trattamento è stato riservato a Death Note, Parasyte e molte altre opere), è necessario venirne a patti e avere il coraggio di adattare la storia con decisione, sfrondando senza pietà tutto ciò che non può funzionare al cinema; coraggio che con L’attacco dei giganti pare non essere pervenuto. La speranza è che il secondo capitolo del film sia in grado di contenere i danni e trovare un ritmo meno esasperato e una maggiore sobrietà narrativa.
[1] Un altro esempio recente, questa volta sul fronte live action, si può individuare nella coppia di lungometraggi tratti dal manga di successo Parasyte (diretti da Takashi Yamazaki), proiettati al Far East Film Festival 2015.