La legge del mercato
Imparare a riconoscere l'errore.

Si impara a conoscere attraverso gli opposti: il freddo con il caldo, la ricchezza con la povertà, la noia con la sovraeccitazione, l’infanzia con la vita adulta, la stabilità con la precarietà.
Il regista Stéphane Brizé si inserisce nel solco di Ken Loach e dei fratelli Dardenne indagando senza orpelli e senza paura di durezza il mondo del lavoro e le difficoltà incontrate da chi perde il lavoro a cinquant’anni. Si scopre un mondo che legifera, con la libertà autoriconosciuta di chi può far uso del denaro, e risulta indifferente, indiscriminato, ora accogliente, ora spietato. C’è chi sceglie e chi è scelto, separati da un confine spesso identificato in una scrivania, impegnati nella persistente ed estenuante ricerca del vantaggio reciproco. La macchina da presa che segue Thierry nell’agone quotidiano deve allora farsi cinica, furba, confarsi alla grettezza osservata e rendersi strumento tagliente.
La legge del mercato è una collana di tempi strappati, infilati anche senza necessaria consequenzialità cronologica: segmenti inanellati - per la precisione ventuno - all’interno dei quali non sussistono inizio e fine, più situazioni che narrazioni. Ritagliati stretti attorno al volto del protagonista, lasciando poco spazio d’azione, tracciano un’inquieta asfissia con la camera a mano, mobile tra gli interlocutori. Le scene in cui il piano scelto è più largo sono le più serene, le più leggere o liberatorie: il corso di ballo frequentato con la moglie, i tranquilli momenti di lavoro, la banca in cui ottiene il prestito. Ma c’è sempre una fissità del punto di vista delle inquadrature, espressione della volontà di indagine, che fa stridere, richiamandoli all’attenzione, gli aspetti di movimento e stasi, che da una parte anelano alla stabilità lavorativa e umana e dall’altra cercano una repentina via di uscita dalla logorante immobilità di una vita senza lavoro. La famiglia è un porto sicuro, nonostante il figlio con handicap psicomotori le tensioni restano fuori dalle quattro mura. C’è un momento, uno sguardo tra marito e moglie, quando stanno mostrando la loro casa a possibili acquirenti, in cui vengono fuori, forti come pilastri, dignità, decoro e amore, antidoti a tutto il veleno cui una vita precaria costringe.
Il discorso si arricchisce e approfondisce nel momento in cui Thierry partecipa ad un incontro di formazione in cui viene analizzato un suo colloquio di lavoro videoregistrato. I presenti gli fanno molte critiche che Thierry accetta con pazienza e lungimiranza. Il modello proposto attraverso le correzioni è il suo opposto, tutto in lui va convertito per attirare l’attenzione di un’azienda. Nell’economia dell’opera è questo il momento cardine, il fondo delle risorse del protagonista è sezionato, umiliato, distrutto, ma Thierry non poggia sul vuoto e rinascendo da queste ceneri trova lavoro, un lavoro che troverà inadatto e alla fine inconciliabile col suo essere più profondo. Il suo compito è sorvegliare, curiosare, cercare, con le numerose telecamere di un supermercato, movimenti sospetti e potenziali ladri, fino a coglierli sul fatto.
Costretto ad oltrepassare la soglia tra selezionatori e selezionati, sulle sue spalle e sulla sua coscienza si carica ora il peso di arresti, licenziamenti, umiliazioni. Thierry, abituato a stare dall’altra parte, svolge il suo ruolo con evidente pietà, che, mista a senso del dovere e alla freddezza richiesta, risulta innaturale e insostenibile. I casi in cui le sue osservazioni giungono a risultati sono almeno quattro. Ci vengono mostrati un uomo giovane e sfacciato, uno anziano e indifeso, una dipendente che prova senza speranze a patteggiare e una cassiera che rubava punti fedeltà, credendo di non fare nulla di male. In ciascuno di loro ritrova qualcosa di sé, non riesce a non immedesimarsi, buttando giù il muro della logica degli opposti che forza le separazioni, svuota d’empatia chi lavora anche a stretto contatto per anni. Chi invece lavora per tenere alto il muro chiude gli occhi, si tiene rigido, intransigente, ignorando le ripercussioni sulle vite private dei lavoratori appesi ad un filo. Per qualcuno il filo si spezza: una donna, collega di Thierry si suicida, a comunicare la notizia è il capo della sezione risorse umane, il manager di tali opposizioni. Thierry ha ormai visto e conosciuto entrambi i lati della scrivania e giunto al vertice di consapevolezza, sa vederci chiaro e giudicare, l’opposizione tra giudicanti e giudicati implode e si riversa con forza travolgente dentro di lui, il ruolo assunto e la sua interiorità in disaccordo a forza di sfregare prendono fuoco. Una sequenza dai toni scuri, notturni, segna questa fase di transizione e riflessione. Thierry, all’occasione successiva sente i vestiti del giudicante bruciargli addosso, abbandona senza un giudizio la cassiera che non sapeva di sbagliare e scappa, fugge, rompendo la fissità dell’inquadratura, costretta ad un movimento improvviso e inaspettato.
Thierry perde di nuovo il lavoro, ma l’Uomo acquista il diritto a salire di un gradino, si riconosce ancora superiore alle leggi di mercato e di esse padrone.