Shéhérazade

di Jean-Bernard Marlin

Due ragazzi difficili trovano l’amore tra le dure strade di Marsiglia, in questo riuscitissimo debutto cinematografico di J.B. Marlin, visto nella Settimana della Critica di Cannes 2018 e ora su Netflix.

 Shéhérazade - recensione film Jean Bernard Marlin

Ci sono posti – e momenti, condizioni, circostanze – in cui l’amore muore o si affila. In cui avvizzisce o si fa largo, con lenta dolcezza, nei gineprai oscuri che la vita a volte ci riserva. La periferia marsigliese in cui è ambientata Shéhérazade, vigorosa opera prima di Jean-Bernard Marlin, è uno di questi spazi ostili, una di quelle fratte in cui inciampare e farsi male è più facile che altrove.

Zach (Dylan Robert), giovanissimo beur non ancora maggiorenne, si è già trovato invischiato in scippi, rapine e aggressioni. È finito in carcere per qualche mese e anche se si augura di non tornarci mai più (“à jamais” risponde alla guardia che scarcerandolo gli dice “à bientôt”) non fa molto per restare fuori dai guai.  Sheherazade (Kenza Fortas), la prostituta del titolo di cui il ragazzo diventa protettore – dopo aver capito che la madre, disoccupata e impotente, non lo avrebbe aiutato – batte per strada, costretta a subire ogni giorno l’umiliazione di rapporti sessuali indesiderati e dello sprezzo altrui.  Entrambi vivono in una città multietnica con alti tassi di povertà, disoccupazione e dispersione scolastica, una metropoli che fa fatica ad emanciparsi dal proprio passato di capitale del traffico mondiale di droga e della criminalità organizzata.

Su questo fronte lo sguardo di Marlin, nato e cresciuto nella grande città portuale francese, non fa sconti: le inquadrature strette, la claustrofobia urbana che si respira, con le luci livide che si allargano a macchia, fino a molestare il quadro filmico, come se tutto fosse filmato attraverso un finestrino sporco, non fanno che enfatizzare il senso di soffocamento e di rassegnazione che pervade luoghi e personaggi. Così come alcune linee di dialogo dai toni amaramente apodittici (“A Marsiglia è come i soldi”, dice Zach di una tavoletta di hashish con cui intende pagare Shéhérazade quando si incontrano per la prima volta, prima di innamorarsi l’uno dell’altro). Eppure dietro gli atteggiamenti da duri, Zach e Shéhérazade non sono che bambini costretti a crescere e svilirsi troppo in fretta: lei con il suo pollice da succhiare, lui con la sua paura del buio. Marlin li segue con rispetto e delicatezza, li lascia liberi di compiere i loro errori, senza denigrarli, senza giudizi, ma con profondo riguardo.
Ad interpretarli due giovani attori non professionisti, capaci di sfoderare performance notevolissime, entrambe premiate con il César per la migliore promessa. Kenza Fortas, cresciuta tra le strade di Belle de Mai, uno dei quartieri più difficili della città, avendo mollato la scuola a 16 anni. E poi Robert, che con il suo personaggio condivide praticamente tutto: la residenza a Marsiglia, l’origine straniera (e a tal proposito sono interessanti le immagini d’archivio all’inizio del film, con gli immigrati in arrivo a Marsiglia, sulla musica moroderiana di Keli Hlodversson, Sad Disco), persino la detenzione nello stesso carcere, luogo in cui si trovava quando ha appreso del casting di Shéhérazade.

È l’amore tra i due – inizialmente intimidito, schiacciato, assottigliato fino a scomparire per paure e dolori, eppure proprio per questo capace di farsi aguzzo, resistente, una volta scoperto e nutrito – a dare forza e poesia al film, ad affrancarlo dalla pur pregevole (ma tutto sommato consueta) “trattazione” neorealistica. L’amore capace di fiorire anche negli ambienti più desertificati (nel puro senso etimologico: abbandonati, dis-connessi, vuoti), l’amore come balzo fuori dal baratro, come riabilitazione alla vita.
Shera è per Zach una figura trasformativa, trasfigurante, non meno di quanto la sua celebre omonima lo sia stata in Le mille e una notte per lo scià accecato dalla rabbia, trasformato in mostro femminicida da un adulterio mal digerito e un’insana voglia di vendetta, ma ancora capace di pentirsi e di redimersi grazie al potere delle storie e dell’amore.

La grandezza di Marlin sta proprio qui, nell’aver creduto fino in fondo al miracolo del gesto amoroso. Condensato meravigliosamente nel bellissimo finale, con quel dolce fatto apposta per lui, passato tra le sbarre ottuse che li separano, le mani che si cercano e si lasciano con una promessa: “Ti aspetterò”.

Autore: Domenico Saracino
Pubblicato il 21/07/2019
Francia 2018
Durata: 116 minuti

Ultimi della categoria