Inland (Gabbla)

Il secondo film del regista algerino è una riflessione umana e politica che parte da un ripensamento geografico da attuare attraverso il cinema.

Inland è un viaggio alla periferia della Terra; è la storia di una fuga e di una nuova prospettiva da cui vedere il mondo. Attraverso i mezzi del cinema, il secondo film di Tariq Teguia ci racconta della necessaria Odissea di un uomo solo e spezzato dalle delusioni della vita.

Malek vive da solo in una casa al limitare del deserto. Un vecchio amico lo richiama per effettuare delle rivelazioni topografiche e portare l’elettricità in un’area remota della campagna algerina. Giunto a destinazione, l’uomo scopre che l’area è quasi del tutto abbandonata: questa estrema periferia è luogo di contesa tra le milizie fondamentaliste e gli abitanti del luogo. In questa terra di nessuno, i migranti dell’Africa centrale cercano di attraversare il confine con il Marocco per raggiungere l’Europa. Malek incontra una di loro e decide di partire con lei e tornare indietro verso il cuore dell’Africa...

Presentato alla 63esima edizione del festival del cinema di Venezia, Inland è un’opera opaca al primo sguardo, ricca di riferimenti anche lontani a ciò che ci è famigliare. Racconta la sua storia (e la sua geografia, come vedremo) con un linguaggio elegante, le cui solide radici si rintracciano nel cinema europeo: c’è aria di Antonioni, di Nouvelle Vague. Teguia è un fotografo, e la cura nella messa in quadro e nella composizione è evidente e si fa via via più sconvolgente nel corso del film.

Al tempo stesso, Inland è erede di un cinema politico e con varie modulazioni agit-prop, che nasce dalle periferie del mondo globalizzato e mette in gioco le conseguenze del colonialismo. Nel corso del film si discute più volte di politica e di ideali: il punto di vista della frontiera e dell’identità algerina viene confrontato con l’idea di un’Europa al di là del mare, che ne è l’inevitabile, ambiguo specchio. Teguia fa del cinema decisamente e inequivocabilmente politico: forse ancor di più che il successivo Zanj Revolution, questo è un film che riflette sulle frizioni terribili tra uomo, comunità e identità. Le questioni del territorio, delle radici e dell’utopia innervano ogni immagine, ogni orizzonte. Il cuore palpitante di questa passione politica è una critica dell’identità araba, che in Zanj si farà vera e propria archeologia politica. Tesa tra contraddizioni e occasioni perse, tra tradizione e modernità, l’identità è il territorio conteso che Inland prova a tracciare e individuare.

Nel corso del film, a raccontarci l’uomo e la sua identità non è tanto la parola, usata con parsimonia, quanto lo spazio che racchiude e, spesso, inghiotte Malek e gli altri personaggi. Il film è un’espressione potente di un cinema che definiremmo geografico, territoriale: un tentativo di inscrivere un paesaggio e di interpretarlo, per capire se stessi e tracciare possibili vie di fuga.

Il protagonista di Inland è assediato dalle sterminate distese algerine che soffocano ogni possibile fuga verso il progresso, il futuro, la rivoluzione. Il territorio è conteso, minato, minaccioso, abbacinante. Da queste premesse, una improbabile fuga verso il confine diventa espressione radicale di libertà, sperimentazione stilistica quanto esistenziale. Nonostante il territorio sia tutt’altro che astratto e il contesto algerino sia fondamentale per dare senso ad alcune delle questioni sollevate (come la corruzione o la politica incapace dopo l’indipendenza della ex colonia francese), è l’uomo che sta a cuore a Teguia, e le metafore geografiche che lo raccontano trascendono il contesto e non hanno bisogno di alcuna traduzione. Le numerose inquadrature dedicate a tracciare linee nello spazio sono veri e propri tentativi di scrittura sulla mappa e sul territorio: rappresentare lo spazio significa trasformarlo in paesaggio e quindi oggetto culturale; significa dargli una dimensione estetica. Se lo spazio fisico è fisso e stabile, lo spazio simbolico è potenzialmente malleabile, plurale, e il cinema può mediare e ricostruire questa relazione. Inland sembra proprio volerci dire questo: il cinema, e l’arte in generale, possono creare nuovi spazi possibili. Spazi di coesistenza e libertà. Pensare lo spazio implica pensare l’uomo all’interno di esso. La cultura, dopotutto, è anche questione di mappe e topografie.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 18/11/2016

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