Dossier Satoshi Kon / 5 - Paprika – Sognando un sogno
L'ultimo film completato da Satoshi Kon, un viaggio nel cinema e nella mente che segue gli stilemi del thriller ma ubbidisce ai poteri del Sogno

Il fascino di Paprika - Sognando un sogno risiede nella sua complessa struttura, che tende a giocare con i tratti distintivi del postmoderno. Tuttavia quella che potrebbe sembrare una semplice operazione metalinguistica e citazionistica racchiude, piuttosto, un’intera articolazione teorica che mette in relazione il cinema, inteso come apparato di ricezione, e il sogno, il mondo dell’onirico. La dialettica tra cinema e sogno ha prodotto numerosi film definiti “onirici” (su tutti quelli di Buñuel e Lynch), ma è stata anche la base per numerose interpretazioni teoriche che legano il linguaggio cinematografico alla “messa in scena” dell’inconscio attraverso i processi onirici. Fu soprattutto lo psicanalista francese Serge Lebovici ad individuare le analogie tra sogno e cinema, ravvisabili da una parte nella simile posizione dello spettatore con quella del sognatore (l’oscurità della sala, la regressione in uno stato inconscio), dall’altra in tutti quei processi linguistici come la censura, la condensazione e lo spostamento, peculiari del mondo onirico. Paprika di Satoshi Kon in questo senso è un film utopico perché cerca di formulare un trattato visivo sul rapporto cinema/sogno. Per comprendere quanto detto bisogna, quindi, analizzare il film e la sua complessa struttura.
La trama del film prende le mosse dalla grande invenzione avveniristica di una macchina in grado di registrare i sogni degli uomini. La Dc Mini, così chiamata, collegata ad un terminale permette allo psicanalista di penetrare nel sogno di un paziente per individuarne contenuti latenti al fine di guarirlo da disturbi psichici. Tale invenzione dà il via a due storie che sin dall’inizio si intrecciano inevitabilmente: la prima è quella del detective Kogawa, che affronta traumi rimossi attraverso la macchina dei sogni guidato da Paprika, avatar della dottoressa Chiba Atsuko, che sperimenta illegalmente su di lui le potenzialità della Dc Mini. La dottoressa Chiba è parte di un’equipe di medici che hanno creato tale strumento, custodito con la massima cura per evitare che vada a finire nelle mani sbagliate. Ed è proprio nel momento in cui alcuni di questi macchinari vengono rubati che si aziona la storia parallela. La ricerca porterà ad una verità agghiacciante in quanto fautore del latrocinio è il presidente della corporazione di medici, che aspira a prendere il controllo dei sogni degli uomini attivando una sorta di “sogno collettivo” fondendo la realtà con l’onirico.
Com’è facile intuire il sogno è il centro dell’azione dell’intero film. Ma in che modo l’onirico entra in sinergia con il concetto di apparato cinematografico? La sequenza iniziale del film pone le basi del discorso proponendo una sequenza d’immagini che vedono come protagonista il detective Kogawa. Come capiremo dopo si tratta di visioni oniriche. Questo sogno è formato per condensazione e spostamento di più luoghi d’azione, paragonabili a diverse tipologie di genere cinematografico: c’è il film d’azione, quello romantico e il thriller. L’ultima sequenza del sogno è la scena chiave che dà accesso al materiale rimosso del detective. Si tratta della scena di un omicidio in una stanza d’albergo. Il detective cerca disperatamente di inseguire il colpevole, ma nel momento in cui tenta di afferrarlo, il pavimento viene a mancare, facendolo cadere in un vuoto profondo, immerso da una luce bianca. L’intensità drammatica della scena sveglia l’uomo riportandolo a contatto con la realtà. Come ha affermato Freud il risveglio causato da un sogno è dovuto al processo di censura, una resistenza al riemergere dei desideri repressi. Nel momento del risveglio comprendiamo che Kogawa è sottoposto all’analisi di Paprika tramite l’utilizzo della Dc Mini, che nel frattempo ha registrato il sogno del detective tramite un software di editing video. In questa scena, quindi, ci sono i primi elementi che associano l’onirico al cinema: da una parte il sogno di Kogawa è formato da diverse scene di genere, e dall’altra l’operazione di montaggio del sogno è proprio come fosse un film. A confermare il collegamento sarà Paprika stessa nel descrivere il processo di analisi del sogno in termini puramente cinematografici: se i cicli del sonno Rem sono facili da interpretare come i “film campioni di incasso”, dall’altra i sogni appartenenti alla fase non rem (o NRem) hanno bisogno di un complesso lavoro d’analisi come i “film d’autore”.
L’associazione verbale di Paprika sembra, tuttavia, provocare una reazione nel detective, come se egli non amasse parlare di cinema. Come scopriremo nel corso del film è il cinema stesso ad essere l’oggetto traumatico del detective. All’età di diciassette anni il suo desiderio era di girare un film con un suo amico. Le grandi capacità artistiche di quest’ultimo provocheranno reazioni di gelosia in Kogawa, al punto che deciderà di abbandonare il suo grande sogno di diventare regista. La morte prematura del suo amico darà il via, ulteriormente, ad una lunga serie di sensi di colpa. Il riemergere di tale rimosso è dato nel corso del film attraverso le numerose immagini oniriche di Kogawa che si avvicina sempre di più alla sua verità interiore percorrendo scenari tipicamente cinematografici: sale cinematografiche, strade desolate con numerose gigantografie di locandine di film. Ad un’attenta analisi anche il suono sembra associare l’attività onirica di Kogawa al cinema: ogni qual volta egli si sveglia e ritorna al reale, vi è una forte luce bianca accompagnata dal rumore, quasi impercettibile, di una pellicola che scorre nel proiettore della sala cinematografica. Potremmo inoltre individuare in questa forte luce bianca del suo risveglio la teoria dello “schermo del sogno” formulata dallo psicanalista americano Bertram D. Lewin. Secondo tale teoria le immagini oniriche si formano nella mente del sognatore sulla base di uno schermo bianco che non viene percepito. Lo schermo bianco individuato da Lewin altro non è che uno schermo cinematografico in cui sono proiettate delle immagini in movimento. Lo schermo bianco è quindi la base necessaria affinché il sognatore possa far emergere dal suo inconscio le visioni oniriche, così come per lo spettatore cinematografico è necessario uno schermo bianco per vedere le immagini filmiche.
In questo senso mi pare emblematica la frase usata dal dottor Tokita, nel momento in cui il direttore dell’istituto inizia a sognare il sogno di un altro paziente attraverso la Dc Mini. Per commentare quanto successo Tokita parla di “un sogno proiettato nel suo inconscio senza che lui se ne accorgesse”. Questa frase, a mio avviso, contiene due elementi di grande importanza: da una parta Tokita parla di “sogno proiettato”, come se stesse parlando di un film, e con maggior enfasi afferma che tale sogno è stato proiettato come se “lui non se ne accorgesse”. In quest’ultima parte della frase ritroviamo l’idea di “ricezione distratta” dello spettatore cinematografico proposta da Walter Benjamin. Per il filosofo tedesco ciò che caratterizza la ricezione filmica è la distrazione: elemento distintivo dei processi di massificazione della società. Benjamin afferma che tale ricezione comporta un’inversione di rotta rispetto ai modi di ricezione dell’opera d’arte tradizionale: se prima lo spettatore si poneva davanti l’opera d’arte cercando di penetrarvici dentro, adesso è l’opera d’arte che ingloba lo spettatore, lo fa entrare al suo interno. Lo spettatore cinematografico, attraverso la sua ricezione, entra all’interno del film. In che modo riesce ad entrarci? Ovviamente grazie a processi di identificazione, che per Metz avvengono con una fase di regressione allo stadio dello specchio (Lacan), ovvero quella in cui il bambino guardando se stesso, l’imago, riflesso, forma il suo Io attraverso il misconoscimento della propria stessa immagine. Il bambino riconosce se stesso identificandosi nell’immagine dell’Altro. Lo stesso avviene per lo spettatore cinematografico che in fin dei conti percepisce se stesso nell’immagine proiettata dell’attore, del personaggio, o dello sguardo della macchina da presa. Lo schermo è quindi una sorta di specchio.
In Paprika sono molte le immagini speculari, in particolar modo il personaggio della dottoressa Chiba che nello specchio intravede o l’immagine del suo doppio (Paprika, che rappresenta il concetto lacaniano di Ideale dell’Io) o un’immagine altra di se stessa che sembra in qualche modo spaventarla. Come nella sequenza del sogno di Himuro, in cui Chiba dopo aver percorso un lungo corridoio accede in un parco giochi desolato. Ad un certo punto pensando di vedere qualcuno accanto a sé si terrorizza, ma poco dopo si accorge che era lei stessa riflessa nello specchio di una giostra. Questa sequenza è altrettanto significativa in quanto sembra riproporre il concetto freudiano del perturbante. Per Freud il perturbante è una sensazione di terrore scaturita da qualcosa di familiare (heimliche) che si trasforma in qualcosa di estraneo (Unheimliche). Tale sensazione per Freud se da una parte l’attribuisce alla superstizione dall’altra dichiara che essa è sempre sintomo del ritorno di un rimosso. Non è un caso che la sequenza sia ambientata in un parco giochi che evoca un’infanzia perduta. Inoltre elementi perturbanti sono anche gli automi o le bambole che stanno nella stessa casa di Himuro, ed ossessionano diverse sequenze oniriche, che ricordano gli automi de L’uomo della sabbia di Hoffman, da cui Freud prende spunto per definire il concetto di perturbante.
Come vediamo il film di Satoshi Kon è profondamente imbrigliato con la psicoanalisi: se da una parte i personaggi hanno a che fare con tale campo, dall’altra è il film stesso che utilizza in modo strutturale elementi psicoanalitici. Mi sembra in questo senso utile il concetto di porta, intesa come soglia. Nel film la porta è un elemento costante ed è il simbolo in cui i personaggi accedono in altre dimensioni: oniriche, simboliche e cinematografiche. Una porta che sarebbe più opportuno definire un portale: emblematica è la sequenza in cui il detective Kogawa si collega tramite un pc nel sito web RadioClub.jp, attraverso il quale può accedere direttamente nei suoi sogni incontrando Paprika. Nell’home page del sito vi è appunto una porta con su scritto “enter”, cliccandoci sopra si ha accesso nell’altro mondo. Il Radio Club è però una zona intermedia; a detta di Paprika esso è una sorta di studio dello psicologo. Quindi la psicoanalisi è una sorta di medium che ci permette di entrare nel nostro inconscio così come il cinema e internet sono un portale che danno accesso ai nostri desideri repressi. Anche lo schermo è quindi una porta: sono molte le scene in cui i personaggi nel film penetrano all’interno dello schermo cinematografico, infrangendo quella “segregazione degli spazi” imposta dal cinema classico hollywoodiano che prevedeva una distanza tra lo spettatore e lo schermo.
Una chiave di lettura del film la troviamo anche nel rapporto di gender: se da un lato c’è una rappresentazione dell’uomo debole e frustrato dall’altra abbiamo una rappresentazione della donna attiva. Le stesse immagini oniriche mostrano gli uomini totalmente impotenti, mentre Chiba e Paprika sembrano essere le vere eroine del film, mostrando una femminilità molto forte in grado di risolvere ogni avversità. Tuttavia il percorso di Chiba è totalmente contrapposto a quello di Paprika, nonostante siano la stessa persona. La caratteristica di Paprika, infatti, è il travestimento: in una sola sequenza riesce ad impersonare tanti personaggi diversi. Parlando della spettatrice cinematografica, Mary Ann Doane afferma come la sua identificazione con l’eroe maschile può avvenire solo a condizione che lei si travesta, indossi i panni dell’uomo. Nella società patriarcale soltanto il travestimento permette alla donna di prendere il controllo sul mondo maschile, ed è quello che fa Paprika. Eppure questo è percepito dall’uomo come una minaccia ed è per tal motivo che Paprika finirà per essere imprigionata dal dottor Osanai, che sadicamente la legherà ad un tavolo nella stanza della sua collezione di farfalle. La stessa Paprika sembra essere una farfalla in procinto di essere imbalsamata. La libertà della donna simboleggia nell’uomo la minaccia primordiale di castrazione, ed è per questo che la femminilità è punita in modo sadico. La dottoressa Chiba, contrariamente, per quanto sia anch’ella una donna dalla forte femminilità, sembra incapace di affermare la propria indipendenza completando il complesso edipico che prevede, nel caso della donna, la rinuncia del padre come oggetto sessuale e la successiva sostituzione della figura paterna attraverso altri uomini. Il film si collega all’Edipo in due momenti precisi: una prima volta quando Paprika (alter ego di Chiba), fuggendo dal dottor Osanai entra fisicamente nel quadro di Gustave Moreau Edipo e la Sfinge, e la seconda nel finale del film, quando Chiba sconfigge definitivamente la figura oscura e malefica del presidente . Questa sequenza è indicativa perché il fantasma di Chiba, nato attraverso la fusione con Paprika, ha i tratti di una bambina. Il suo modo per sconfiggere il presidente è di risucchiare il buco nero da lui creato, il varco che collega il mondo dei sogni con la realtà, il conscio con l’inconscio. Il presidente cerca di fermare la bambina dicendole testuali parole: “perché non ubbidisci”, frase che attribuisce al presidente la Legge del Nome del Padre. Chiba non ubbidendo cerca di eliminare la figura del padre: più lo risucchia al suo interno più il suo corpo ritorna ad assumere i tratti di una donna. La maturazione del complesso edipico si conclude attraverso la morte simbolica del padre, ristabilendo l’ordine e l’armonia dei sogni e del reale.
La figura del presidente, oltre ad essere risolutivo nel processo edipico di Chiba, è molto complessa. Il suo atto terroristico destabilizza l’intera narrazione del film producendo visioni allucinatorie. Egli desidera e realizza di avere il controllo del mondo dei sogni producendo un unico sogno collettivo. Con questo gesto egli fonde realtà e sogno. Ciò pone una domanda importante: chi è il vero creatore dei sogni, noi stessi o qualcun altro per noi? La risposta la ritroviamo nel concetto lacaniano di Grande Altro: ovvero il Potere. In Paprika la rappresentazione del potere è raffigurata nella figura del presidente, che tramite la macchina dei sogni gestisce il mondo onirico dei singoli, creando una visione collettiva. Ora però rimane un dubbio, se il film evidenzia l’analogia tra il sogno e il cinema chi potrà essere mai tale alterità in campo filmico? Il Grande Altro cinematografico è il regista stesso che attraverso la macchina da presa crea immagini da proiettare nella mente dello spettatore, il quale a sua volta attraverso i processi di identificazione produrrà il proprio film mentale (sogno). Tuttavia il film attraverso i contenuti latenti e simbolici produce un pensiero, un’ideologia collettiva condivisa da tutti gli spettatori. Per questo si può dire che il cinema sia un potente mezzo politico e non è un caso che due dei maestri più influenti della storia, Ejzenstejn e Hitchcock, desideravano controllare la mente dello spettatore attraverso il pericoloso strumento del cinema.