Grace

di Ilya Povolotsky

Il film vincitore del Inlaguna Film Festival, un road movie minimale incentrato sugli spazi di cielo e terra che assorbono ogni cosa, e una giovane protagonista che non potendo contare su nessuno, si salva da sola.

grace film laguna

C’è qualcosa di paradossale nell’esasperato dato visivo presente in Grace, opera prima di Ilya Povolotsky vista al Inlaguna Film Festival, Festival Internazionale di Cinema Indipendente a Venezia, da cui è tornata vincitrice nel dicembre scorso del primo premio. È un film, infatti, che non chiede altro che essere visto, nella connotazione più letterale del termine. I dialoghi sono ridotti al minimo, il ritmo narrativo è lentissimo, le informazioni sui personaggi vaghe e sintetiche. Ciò che è possibile dedurre dalle immagini è il racconto del viaggio di padre e figlia adolescente su uno sgangherato furgone lungo le periferie della Russia contemporanea. I due si guadagnano da vivere allestendo cinema all’aperto per la gente del posto e vendendo loro bibite e snacks; null’altro di preciso è dato sapere sul loro passato, a parte un piccolo accenno alla morte della madre della ragazza. Con questi presupposti il film appare difficile, ostico, impenetrabile, e in effetti lo è, finché non si concede alle inquadrature la pazienza necessaria a dire, da sole, tutto quello che c’è da sapere.

Il vero protagonista di Grace è il panorama: lande sterminate, desolate, opprimenti. La presenza del paesaggio è così ingombrante da non poter risultare che una precisa scelta stilistica. Il cielo e la terra assorbono ogni cosa nell’immagine al punto tale che la macchina da presa è costretta a piani lunghissimi o lenti piani sequenza per poter catturare con lo sguardo gli individui che tentano di abitare queste infinite distese. L’unica forma di difesa verso questa vastità a tratti cannibale sembra stare nei piccoli ripari che l’essere umano riesce a costruirsi. Il furgone di padre-figlia, per quanto improbabile e disordinato, diventa una sorta di rifugio con cui scappare e muoversi senza lasciarsi inghiottire dalle stradine impervie costruite sullo sfondo di gigantesche montagne avvolte nella nebbia. Solo un profilo sembra tener testa ai contorni del panorama, ed è quello della fanciulla adolescente che appare spesso in primo piano, i tratti innocenti di un viso scosso da impercettibili attimi di rabbia, alla ricerca di uno spazio realmente proprio, in conflitto con il padre taciturno e con la natura indifferente ed ostile. Come il regista, anche lei nel film cerca di strappare alle dita voraci dello spazio e del tempo gli individui, fotografandoli con una macchina che produce piccole polaroid.

Unico soggetto realmente vitale in uno scenario dove i personaggi sembrano abbandonati a sé stessi, ignari di sè, Grace è il solo elemento narrativo a produrre un atto di rottura con un passato e presente che similarmente sembrano ostinarsi a una quieta paralisi, fatta di micro-eventi che non lasciano traccia nel ricordo. L’evento determinante è una necessaria fuga con tanto di lancio di una pietra contro il parabrezza del furgone abitato con il padre – a significare l’aperto rifiuto di specifiche dinamiche familiari – per vivere il primo rapporto sessuale con un ragazzo fuggitivo come lei. Simile a tante altre fughe adolescenziali, il suo è un tentativo improvvisato, maldestro e destinato al fallimento, ma pur tuttavia prezioso per riposizionare il proprio corpo – e dunque sé stessa – entro uno spazio che non sia solo nemico. 

In tutto il film c’è un solo oggetto che resiste alle forze esterne, rimanendo chiuso e sigillato, dal contenuto invisibile e intangibile: è il vaso che contiene i resti della madre morta, e con esse tutto un mondo di ricordi ed emozioni represse da padre e figlia. L’apertura finale con, l’abbandono delle ceneri alle onde del mare costituiscono forse la prima vera, consapevole appropriazione dello spazio da parte della protagonista. Non ci è dato sapere molto di più su cosa sarà di lei; il film di Povolotsky è troppo silenzioso per lasciar spazio a ipotesi. Ma in un’opera che oltre la semplice visione richiede lo sforzo di un’indagine su ogni dettaglio, è sufficiente l’andatura decisa e sofferta di Grace che si muove tra i flutti marini, a lasciarci la speranza di aver assistito alla storia di un essere umano che, non potendo contare su nessuno, si salva da solo.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 17/01/2024
Russia 2013
Durata: 119

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