Il ragno rosso

L'opera prima di finzione di Marcin Koszalka è un ipnotico viaggio nell'oscurità dell'uomo e della Storia

Al suo primo lungometraggio di finzione, il documentarista e direttore della fotografia polacco Marcin Koszalka mette in scena un dramma psicologico enigmatico ed elegantissimo, a metà tra il ritratto psicologico e l’affresco storico di un’intera epoca. Il ragno rosso gioca con i generi cinematografici per raccontare una storia di un ragazzo e di una ribellione radicale contro la società e la storia.

Il ragno rosso è un serial killer che colleziona delitti apparentemente casuali nella Polonia autoritaria degli anni Sessanta. L’unico movente sembra un’oscura volontà di potenza: il desiderio di emergere dal grigiore di un’epoca e di un potere oppressivo che disciplina, soffoca, rinchiude. Il protagonista, Karol Kremer, è un ragazzo che vuole scavalcare questi muri ed esondare da una Cracovia fredda e sospesa in un’atmosfera di grigia immobilità. La polizia dà la caccia al Ragno Rosso, ma brancola nel buio e si limita ad invitare i cittadini a “non diventare vittime”. Karol scopre per caso una delle prede del Ragno e riesce presto a individuare l’identità dell’assassino. Il rapporto tra i due pare quello tra una vittima e un carnefice, o tra un colpevole e un possibile ricattatore. Invece, la scelta di Karol sarà molto più ambigua: il protagonista, e il film con lui, si allontanano dai binari del noir per imboccare decisamente la strada della ribellione politica e del cinema allegorico.

Al centro di questa allegoria, fatta di ardite inquadrature e ancora più ardite ellissi narrative, troviamo l’individuo e la sua negazione. Karol è affascinato da un assassino le cui macabre imprese mettono in scacco l’intera concezione sociale dei due uomini. La sua violenza conquista i titoli dei quotidiani e l’immaginario del popolo. Il suo martello, già stravolto da un comunismo che di ideale non aveva più nulla, si fa scalpello: strumento individuale di espressione per incidere la materia del mondo, per una forma perversa di creatività e di sfregio. Il contatto con l’assassino trasforma Karol e la sua maschera sociale, rivelando una oscura pulsione distruttiva e un groviglio di contraddizioni che riflette la società che lo ha generato.

La Cracovia di Koszalka è il crogiolo che ha partorito questi mostri: è una città con un nome e una geografia, ma il cui spazio è accuratamente sezionato e dissolto da un montaggio che ostacola qualunque continuità e punto di riferimento. Siamo negli anni Sessanta, ma Karol ricorda molto da vicino un millennial perso tra le pieghe di una divorante crisi economica e culturale. Cracovia è una città astratta come una titanica, gelida scultura senza tempo, tagliata da lame di luce, popolata da uomini chini che corrono per le strade, diffidenti e schivi come in un romanzo di Dostoevskij, ieratici come in un quadro di Sironi. Il risultato è un enigma che infetta anche lo sguardo, ben prima che si delinei una storia o un pretesto per raccontare: dove siamo? Chi sono queste persone, cosa le anima?

Il regista approfitta di questa atmosfera sospesa per inserire metafore visive di grandissima bellezza ed efficacia, come una suggestiva carrellata all’indietro di una bara chiusa da chiodi ed assordanti colpi di martello. E sono sempre le immagini a chiudere, beffarde, la parabola dell’assassino e del grande furto di identità di cui è, paradossalmente, la vittima: il sorriso folle di Kremer, che chiude il film, è un grande quadro esposto in una prestigiosa galleria d’arte alla fine degli anni Settanta, in una Polonia ormai gettata nella modernità e nelle sue intemperie. Impossibile non pensare alla foto del terrorista turco immortalato dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo, vincitrice del World Press Photo 2017. La violenza è nelle immagini e nella psiche dell’uomo, da sempre; è uno spettro che si aggira per la storia e per le nostre vite. Forse, l’arte può aiutarci a riconoscerlo e a renderlo pensabile. Il ragno rosso, dopotutto, è un rito di esorcismo cinematografico per orientarsi nel sonno della ragione.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 22/02/2017

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