The Beach Bum

di Harmony Korine

Con un film sballato e balordo, Korine scivola sulla superficie patinata e del vuoto post-ideologico di oggi, raccontando l’America attraverso il disfacimento del sogno.

The Beach Bum - recensione film korine

Is that all there is?
Harmony Korine continua a scivolare sulla superficie patinata dell’ America contemporanea con una commedia spregiudicatamente sgangherata, come il protagonista, Moondog (Matthew McCoughney), poeta straccione e strafatto, “drugo” lebowskiano ciondolante nelle sue camicie hawaiane, felicemente alla deriva alle Keys Islands, al largo di Miami. The Beach Bum è l’altra faccia della parabola ludica e criminale della Florida di Spring Breakers; laddove il film di sei anni prima era la canzone pop ultra-violenta di una generazione allo sbando, quest’ultimo lavoro è l’epopea lisergica e “romantica” di un cantore del caos, del corpo e dell’oblio stupefacente. Raggiunto lo status di genio letterario grazie a lavori di gioventù, Moondog vive di momenti, di felicità istantanea, di eccessi, sballi psicotici, mondanità alcoliche e di tutti i piaceri che la vita può regalare. È l’energia pulsionale degli istinti. Puro essere e puro Es.

Un po’ Bukowski e Whitman, un po’ Arthur Miller e Thomson S. Thompson, Moondog è in grado di abbracciare la realtà nei suoi aspetti solennemente triviali, santificando il presente di una spring break eterna e attingendo alla vita e alle sue esperienze per comporre poemi che parlano di organi, di corpi e dello stordimento beato di certi momenti apparentemente insignificanti che ritmano dello splendore dell’esistenza.
Lo vediamo notte e giorno trascinarsi nei bar in compagnia di un tenero gattino albino, stordirsi di alcol, droghe e amori passeggeri, salpare sulla sua barca, incurante e ridanciano, verso un edonismo senza ritorno e infine battere sui tasti di una scassata macchina da scrivere una nuova opera poetica che da anni sembra non arrivare mai a conclusione. Viene da un’altra dimensione, come dice Minnie Boo (Isla Fisher), la moglie ricchissima che lo ama per come è e lo aspetta tra le braccia dell’amico Lingerie (Snoop Dogg) in una lussuosa villa sul mare di Miami. Moondog è come un’emanazione dello spirito di Alien/James Franco di Spring Breakers ma anche la sua evoluzione fuori dal tempo e dallo spazio del mondo, del realismo capitalista e dell’ideologia del materialismo americano. Non possiede nulla e non cerca nulla. Richiamato alla civilization della città e ai comforts della ricchezza per il matrimonio imminente della figlia, il suo stile non cambia, sempre teso tra cultura alta e cultura bassa, tra una poesia di D.H. Lawrence declamata davanti a un tramonto scintillante e una “fattanza” da stoner film.

Harmony Korine ha da sempre raccontato un’ America spiantata, marginale, spesso moralmente riprovevole, abitata da personaggi borderline, tra poesia e degrado, tra candida innocenza, dissolutezza distruttiva e amoralità. Moondog è solo un altro esempio, elevato allo stato di estro creativo e poetico, di questa galleria di bizzarri e strampalati personaggi, sostenuto da una delle performance più incontenibili di McCoughney. Devo andare a fondo per andare in alto dice Moondog alla moglie, in una dichiarazione d’intenti che sembra auto-riflettersi in Korine stesso. Il regista ci ha abituati a un tipo di narrazione frammentata e sconnessa, allergico ai codici del racconto classico hollywoodiano sin dalle sue opere cult degli anni 90: Gummo e Julien Donkey Boy. Anche in The Beach Bum la linearità narrativa viene sabotata con salti senza raccordo, stacchi di montaggio godardiani disseminati qua e là per tutto il film e atti a scompaginare il racconto in istantanee sospese in una sorta di magma ipnotico. Il film pedina Moondog nel suo vagabondare, da moderno hobo, dentro notti cristalline, crepuscoli lisergici e luci al neon fluo come se stessimo seguendo un flusso psichico scoordinato, un alterato stato di coscienza.
Tuttavia questo principio sabotatore qui viene applicato ad un plot più solido. C’è un intreccio da seguire: un evento tragico e inaspettato che costringerà Moondog a fare i conti con le regole del vivere sociale, andare in riabilitazione e concludere una nuova opera. «Non sopporto gli intrecci perché mi pare che la vita non ne abbia» dichiarava in un’intervista ad Herzog un giovanissimo Korine, rivendicando una forma di resistenza politica, oltre che poetica, a Hollywood e all’ideologia americana dominante del capitalismo applicato al sogno – per cui chiunque può essere l’eroe capace di rialzarsi e trionfare dopo aver incontrato avversità. In questo ultimo lavoro la sensazione è quella di trovarsi dentro un universo parallelo – o un cartoon – in cui tutti personaggi sono stralunati, hanno nomi assurdi e un pilota cieco può accompagnarti su un pazzo aereo a ritirare un premio letterario, facendo saltare il principio di realtà e avvalorando l’ipotesi che, al di là della trama, il significato da cogliere sia tutto nella superficiale levità di quegli istanti di ebbra e stordita felicità che allargano la vita. Che siano tramonti, risate o pisciare nell'oceano al chiaro di luna; o, ancora, le scorribande di un poeta naufrago (nella civiltà) insieme alla sua banda di pazzi compagni di viaggio.

Un film sballato e balordo, certo, ma che vuole celebrare e aderire alla vita per come è. La vita come estasi momentanea. Nella sua pienezza e nella sua insignificanza. Nel suo farsi bellezza o auto distruzione. «Bisogna amarlo così com’è», dice Minnie Boo. E così The Beach Bum – nonché, per esteso, la filmografia di Korine: un esempio di cinema che racconta l’America attraverso il disfacimento del sogno americano. Esaltando l’estetica da videoclip delle superfici luccicanti e dei colorismi accesi al neon (Benoît Debie alla fotografia già collaboratore in Spring Breakers nonché in Enter the Void di Gaspar Noè), Korine galleggia sul vuoto post-ideologico del mondo contemporaneo. Non c’è sogno, c’è solo una fenomenologia dell’essere (strafatti). Non denuncia e non fa apologie. È irriverente e sovverte (e si diverte). Moondog, a suo modo, è forza eversiva, di resistenza.

Is that all there is?
Canta Peggy Lee in una delle sequenze più struggenti, in sottofondo al volteggiare amoroso di Moondog e Minnie Boo. Sì è tutto quel che c’è. La vita e nient’altro. E nel fare questo affresco ultrapop dell’America contemporanea Korine manda in fumo tutto: l’ideologia del capitale e quel che ne rimane del sogno.

If that's all there is
my friends,
then let's keep dancing

“Is that all there is” - Peggy Lee

Autore: Tamara Gasparini
Pubblicato il 10/10/2019
USA 2019
Durata: 95 minuti

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